Il crowdfunding è donna

Rita Annunziata
13.7.2020
Tempo di lettura: 3'
Le campagne di raccolta promosse da imprenditrici hanno il 32% di probabilità in più di avere successo. Roberta Rabellotti, docente presso l'Università di Pavia, racconta i risultati di una ricerca condotta in Italia e Uk. E spiega perché, al contrario, il pregiudizio di genere penalizza la componente femminile nell'accesso al credito

Le donne hanno minori possibilità di accedere al credito bancario rispetto agli uomini. Ma nel caso del crowdfunding la situazione è capovolta

Le campagne di crowdfunding condotte da donne hanno il 32% in più di possibilità di ottenere finanziamenti

Secondo Roberta Rabellotti, docente dell'Università di Pavia, una strada per favorire la parità di genere nell'accesso al credito potrebbe essere quella di riconoscere degli incentivi a livello fiscale per attirare gli investimenti verso le imprese al femminile

Per le donne accedere al credito bancario è un'impresa: le aziende femminili sono percepite dagli istituti finanziari come più rischiose, a bassa potenzialità di crescita e specializzate in settori non particolarmente produttivi. Ma se da un lato in Italia il 70% appartiene al terziario, uno dei più colpiti dalla crisi epidemiologica insieme al manifatturiero, dall'altro le discriminazioni nell'accesso al credito risultano legate piuttosto a un fattore culturale. “Le banche tendono a essere dominate dagli uomini”, spiega Roberta Rabellotti, docente di economia presso il dipartimento di scienze politiche e sociali dell'Università di Pavia. “Inoltre, non forniscono dati disaggregati di genere e mancano di trasparenza da questo punto di vista”.
C'è però un segmento – tra i canali di accesso al capitale – che segue logiche differenti. Secondo lo studio Investing in women: what women-led businesses in Italy and the UK need, realizzato da Holly Lewis-Frayne della E-Economics, Roberta Rabellotti dell'Università di Pavia, e Paola Subacchi della Queen Mary University di Londra, con la collaborazione di Caterina di Tommaso dell'Università della Calabria, il crowdfunding è l'unica forma di finanziamento nella quale le imprenditrici hanno più successo degli uomini: le campagne condotte da donne, infatti, hanno il 32% di possibilità in più di ottenere finanziamenti rispetto a quelle condotte da uomini. Ma quali sono le ragioni dietro questo successo?

“La motivazione è duplice. Innanzitutto, le imprenditrici hanno una migliore capacità di comunicare il progetto, utilizzando un linguaggio più comprensibile e attraente per un potenziale finanziatore, considerando che le piattaforme di crowdfunding si riferiscono a un pubblico generale, non di operatori specializzati”, spiega la Rabellotti. Inoltre, per il fatto stesso che si tratti di operatori non specializzati, non scatterebbe quel meccanismo di gender bias (pregiudizio di genere) documentato dall'evidenza empirica che invece contraddistingue il mondo degli investitori professionali, caratterizzato in maggioranza da uomini. “Se pensiamo al crowdfunding come a un mercato nel quale chiunque può sostenere un progetto senza avere competenze finanziarie specifiche, la popolazione è composta tendenzialmente da metà uomini e metà donne”, continua la Rabellotti.
Nel mondo del venture capital, invece, la situazione si capovolge. Secondo alcuni studi condotti negli Stati Uniti, nel momento della presentazione dei progetti delle startup al femminile, i venture capitalist tendono a chiedere alle donne di dimostrare che quello che intendono realizzare sia valido, presentando un'evidenza quantitativa. Al contrario, gli uomini vengono interpellati solo sulle potenzialità di crescita del progetto. Inoltre, spiega la Rabellotti, c'è un problema di conoscenza dei settori. “Le donne tendono a presentare progetti in ambiti più legati al mondo femminile, sconosciuti agli investitori. Tra le persone intervistate nell'ambito della ricerca, c'è un'imprenditrice di Londra che ha creato delle pappe pronte per neonati. Al momento della presentazione agli investitori, prevalentemente uomini, spiegava, non vi era la minima consapevolezza delle potenzialità di mercato del settore, perché manca la conoscenza”.

La strada per raggiungere una piena parità di genere nell'accesso al credito è dunque lunga, ma ci sono alcune azioni che gli istituti finanziari potrebbero intraprendere per garantire alle donne un percorso verso il raggiungimento di questo traguardo. Secondo la Rabellotti, un primo passo da compiere riguarda il riconoscimento stesso della problematica da parte delle banche. “Se iniziassero a rendere pubblici i dati delle loro politiche di credito e diventasse chiaro quali sono le ragioni dei pregiudizi nei confronti delle imprese femminili, potrebbero iniziare a sviluppare degli strumenti per facilitare l'accesso al credito alle donne”, spiega. Inoltre, molto spesso sono le stesse donne che, scoraggiate dai risultati delle altre imprenditrici, rinuncerebbero a priori a interfacciarsi con gli istituti di credito. “Ci sarebbe bisogno di una maggiore attenzione delle banche a questa tipologia di clienti. Inoltre, se il settore bancario tende a essere particolarmente maschile, garantire maggiore spazio alle donne nelle posizioni di vertice degli istituti potrebbe generare un incremento dell'attenzione nei confronti delle imprenditrici. E perché no degli incentivi a livello fiscale per chi investe nelle imprese femminili?”.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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