Chi alza il velo (ancora) maschile delle cripto

Diversi studi dimostrano come le donne siano tendenzialmente più avverse al rischio. Eppure, non manca chi guarda alle valute digitali
Il 26% delle future investitrici prenderebbe in considerazione le criptovalute. Precedute unicamente dal mattone (29%) e seguite dai prodotti bancari (23%)
Portale (Polimi): “Bisognerà lavorare sull’educazione finanziaria in una logica di cambiamento culturale, creando meccanismi che aiutino le donne a comprendere queste tematiche fin dalle scuole primarie”
Cathie Wood, classe 1955, ceo di Ark Investments. Ben 1,4 milioni di follower solo su Twitter. Si definisce una “thematic portfolio manager nell’innovazione disruptive”. Ma anche mamma, economista e avvocato delle donne. Considerata tra gli eredi del guru di Wall Street, Warren Buffet, ha recentemente dichiarato ai microfoni di Cnbc in occasione della conferenza Bitcoin 2022 di Miami come le criptovalute rischino di sconvolgere il settore bancario. Sia sul fronte dei talenti (sempre più difficili da trattenere) che degli affari. Un mondo, quello della finanza in generale e delle valute digitali in particolare, che resta tuttavia ancora appannaggio degli uomini. Anche in Italia.
Stando a un’indagine condotta dal Politecnico di Milano in collaborazione con Ipsos nel mese di gennaio, l’8% della popolazione possiede token o criptovalute, cui si aggiunge un 4% che dichiara di averle possedute in passato per un totale del 12%. Un valore che oscilla dall’11% nel caso degli uomini al 5% per le donne. “Se aggiungiamo coloro che dichiarano di voler investire nei prossimi mesi (17%), quindi tralasciando chi ha già investito, arriviamo al 30%. Che si ferma al 20% per gli uomini e decresce al 14,4% per le donne”, racconta a We Wealth Valeria Portale, direttrice dell’Osservatorio blockchain & distributed ledger del Politecnico di Milano.
In generale, spiega, si tratta di un fenomeno massivo che sta coinvolgendo tutte le fasce della popolazione. Indipendentemente dal genere. “Ed è interessante notare come questi numeri di predisposizione verso il mondo cripto crescano nelle fasce più giovani: se guardiamo a chi ha intenzione di acquistare o a chi ha posseduto in passato token o criptovalute, nella fascia 18-24 anni la percentuale del 30% di cui parlavamo prima supera il 50%. Mentre scende al 15% nella fascia 55-75 anni”.
Diverso è il caso di chi non ha ancora mobilitato i propri risparmi. Secondo uno studio realizzato dall'istituto di ricerca Sapio per conto di N26 nel mese di febbraio su un campione totale di oltre 16mila individui tra donne e uomini in Austria, Francia, Germania, Italia e Spagna, il 26% delle future investitrici prenderebbe in considerazione proprio le criptovalute. Precedute unicamente dal settore immobiliare (29%) e seguite dai prodotti bancari (23%). Un desiderio generalmente connesso alla possibilità (attesa) di accrescere il proprio “gruzzoletto” nel lungo termine nel 41% dei casi ma anche di costruire una sicurezza finanziaria per la propria famiglia nel 40% e incrementare rapidamente il proprio capitale nel 29%.
Eppure, sono diversi gli studi che dimostrano come le donne siano tendenzialmente più avverse al rischio. È il caso per esempio di un’indagine condotta nello stesso periodo da Moneyfarm sui suoi oltre 80mila clienti attivi tra Italia e Regno Unito che, identificando il profilo di rischio su una scala da 1 a 6, ha svelato come il 40,1% delle donne vanti un profilo di rischio prudente (tra 1 e 3) a fronte del 24,2% degli uomini. Solo nel 10,1% dei casi si parla di un profilo di rischio elevato (pari a 6), sette punti percentuali in meno rispetto alla controparte maschile. “Le donne sono meno impulsive degli uomini quando investono”, spiegava infatti Patrizia Franchi, investment consultant manager di Moneyfarm. “E hanno dimostrato di riuscire a tenere i nervi saldi anche nei momenti in cui i mercati sono stati più volatili, come in piena pandemia”.
Per Federica Rocco, ceo di CryptoValues (consorzio europeo che nasce con l’obiettivo di riunire figure specializzate nel settore legale, fiscale e tecnologico al fine di promuove un dialogo tra tutti i partecipanti e sviluppare l’industria, sia a livello italiano che europeo), le motivazioni di questo mismatch tra minore propensione al rischio e desiderio di investire in criptovalute potrebbe risiedere in una mancanza di know how.
“Nell’immaginario c’è ancora la tendenza a pensare che si tratti di investimenti che possano produrre il raddoppio del capitale investito in meno della metà del tempo degli investimenti tradizionali. Ciò viene ancor più enfatizzato quando il prezzo delle cryptovalute sale e l’euforia dei nuovi investitori con esso. Ci si avvicina quindi all’industria più con una speranza che con una valida consapevolezza. È sempre difficile e sbagliato generalizzare, ma nella mia personale esperienza, ho notato che le donne che si sono affacciate in questo mondo hanno avuto un approccio più cauto e pragmatico che non vuol dire più consapevole”, spiega Rocco. “Credo sia necessaria un’educazione finanziaria a tutto tondo, che parta dalle scuole primarie: quando si decide di fare un tale investimento si dovrebbe almeno conoscere un minimo di storia, essere consapevoli della sua estrema volatilità e, quindi, dei conseguenti rischi. In questo modo sarà possibile decidere se fare un investimento a lungo o medio termine o di tipo ancor più speculativo”.
“Certamente l’educazione finanziaria è il primo step”, conferma Portale. “Uno step che può essere sviluppato in diversi modi, sia attraverso la formazione sia attraverso consulenti finanziari che aiutino e guidino. Le donne, in passato, non si avvicinavano al mondo degli investimenti in generale. Mi auguro che le future generazioni possano non soffrire di questo gender gap, ma bisognerà lavorare sull’educazione in una logica di cambiamento culturale e creando meccanismi che aiutino le donne a comprendere queste tematiche fin dalle scuole primarie”.
(Articolo tratto dal magazine We Wealth di luglio/agosto 2022)