Pensione, l'età migliore per iniziare a risparmiare non è la più ovvia

Quando si cercano informazioni su come pianificare la pensione la domanda più frequente, di solito, è la seguente: quanto devo risparmiare per avere una rendita di una certa entità? Meno frequente è il tema sul quando iniziare a risparmiare, perché la risposta sembra scontata: prima si comincia, meglio è. Giusto? Forse no.
Un nuovo studio accademico pubblicato sul Journal of retirement e co-firmato dal professor John Shoven dell'università di Stanford ha sfidato le virtù del risparmio precoce concludendo che, per i percettori di redditi elevati, il risparmio previdenziale non dovrebbe iniziare prima dei 35 anni circa.
Perché cominciare a risparmiare il prima possibile sarebbe meno conveniente? Gli autori esprimono il giudizio sulla base del modello life-cycle, elaborato dal Premio Nobel italiano Franco Modigliani, nel quale si assume che gli individui razionali desiderano allocare le proprie risorse in modo da limitare drastici cambiamenti al proprio stile di vita. Secondo il modello, dunque, si risparmia in vista della pensione quando si guadagna bene, per limitare un abbassamento del tenore di vita quando si lascia il mondo del lavoro. Dal momento che i giovani, in particolare quelli istruiti e che si avviano a una carriera redditizia, guadagnano ancora relativamente poco rispetto alla loro età adulta, il sacrificio del risparmio previdenziale precoce sarebbe irrazionale e controproducente.
“Dovresti risparmiare quando sei relativamente povero per poter avere di più quando sarai relativamente ricco?” si interroga il co-autore del paper Jason Scott, managing director di Financial Engines, una delle maggiori società di consulenza d'investimento indipendente negli Usa, “secondo il modello life-cycle, assolutamente no... si vorrà risparmiare quando si è relativamente ricchi per poter spendere quando si è relativamente poveri", ha dichiarato a Marketwatch.
E l'interesse composto?
Normalmente viene suggerito di risparmiare il prima possibile perché, così facendo, si riescono a reinvestire gli interessi prodotti dall'investimento per un maggior numero di anni – facendo leva sul cosiddetto interesse composto. Per i piani previdenziali a lungo termine, obiettano gli autori, questo assunto è messo a dura prova da interessi reali, ossia depurati dall'inflazione, prossimi allo zero.
La rinuncia di denaro nel presente per avere di più in futuro comporta una privazione (time discount) che deve essere controbilanciata dagli interessi reali offerti: secondo gli autori, gli attuali interessi reali (al netto del rischio) sono generalmente inferiori al time discount. Un modo per produrre ritorni superiori sarebbe quello di investire in asset più rischiosi come le azioni e, posto che sia adeguato alla situazione dell'individuo, a quel punto non staremmo più parlando di una soluzione previdenziale, come un fondo pensione.
Pensione complementare, non il prima possibile
La conclusione dello studio, per i soggetti nelle fasce di reddito elevate, indica che per “mantenere uno standard di vita il più costante possibile è necessario spendere tutto il reddito in età giovane e iniziare a risparmiare per la pensione solo durante la mezza età”, quando il reddito tende ad aumentare. Questo accumulo di denaro servirà a limitare l'impatto del calo reddituale quando, in seguito, si andrà in pensione.
E per i lavoratori nelle fasce di reddito più basse? Difficilmente chi fatica a risparmiare liquidità difficilmente si pone il problema della previdenza integrativa. In questo caso, gli autori si rivelano poco propensi a far cambiar loro idea. Dal momento che nelle fasce di reddito più basse la previdenza pubblica permette di sostituire un'elevata percentuale del reddito lavorativo (ossia offre un elevato tasso di sostituzione), “i tassi di risparmio ottimali sono molto bassi”. In altre parole, lo Stato (è sicuramente il caso italiano, ma è così anche negli Usa) appiattisce di molto il divario tra un basso reddito da lavoro e la successiva pensione. Per quanto i tassi di sostituzione andranno a diminuire in futuro, a doversene preoccupare di più saranno, realisticamente, i soggetti nelle fasce di reddito medio-alte.