Donne: anche la previdenza inciampa sul gender gap

Rita Annunziata
27.7.2022
Tempo di lettura: 5'
Investire in un fondo pensione consentirebbe alle donne di ridurre il divario di genere, che ammonta a quasi il 30%, se si considera l'assegno dell'Inps, rispetto agli uomini che non aderiscono. A parità di condizioni, però, le lavoratrici rimangono pesantemente svantaggiate. Beatrice Elena Stroppa di Wtw spiega le ragioni di questa disparità

Il tasso di partecipazione delle donne alla previdenza complementare risulta pari al 28%, a fronte del 35,5% degli uomini. Eppure, dovrebbero tutelarsi di più anche perché più longeve

Il 41% degli iscritti a una forma di previdenza complementare investe nella linea garantita (la più cautelativa) mentre il 38% punta sulla bilanciata

Stroppa: “Il punto è essere consapevoli del proprio futuro tenore di vita e agire per costruire un futuro adatto alle proprie esigenze”

Poniamo che Sara e Davide siano due impiegati, abbiano 35 anni e una retribuzione annua lorda pari rispettivamente a 33.800 e 36.500 euro. Poniamo ancora che Sara abbia usufruito di due congedi di maternità, che le costeranno due buchi contributivi. E che, dopo ciascuna maternità, abbia goduto di otto mesi di part-time (che tipicamente prevede in Italia una riduzione dell’orario di lavoro di circa il 25% e che comporta, di conseguenza, anche una perdita previdenziale). Poniamo che a fine carriera Sara sia ancora inquadrata come impiegata mentre Davide abbia ottenuto la qualifica di quadro. Qualora entrambi andassero in pensione a poco più 69 anni, Sara riceverebbe una pensione Inps pari a 1.691 euro. Mentre per Davide si parlerebbe di un importo lordo medio mensile di 2.306 euro. Sara, insomma, sconterebbe un divario previdenziale pari al -27%. Ma cosa accadrebbe se aderissero entrambi alla previdenza complementare con quanto previsto dal Contratto collettivo nazionale di lavoro?


A raccontarlo a We Wealth è Beatrice Elena Stroppa (lead associate, retirement di Wtw) riprendendo i dati di una recente analisi della multinazionale britannico-statunitense che si occupa di gestione del rischio, brokeraggio assicurativo e consulenza aziendale. Grazie alla previdenza complementare, spiega Stroppa, Sara godrebbe di un incremento della pensione mensile pari al +25%. In questo modo, il divario previdenziale di Sara confrontato con la pensione Inps di Davide (che come anticipato risulterebbe pari a 2.306 euro) si ridurrebbe dal -27% al -8%. Sempre ponendo, però, che Davide non aderisca a sua volta alla previdenza complementare (incassando, in quel caso, un aumento della pensione mensile pari al +26%). Insomma, Sara non raggiungerebbe mai realmente Davide. E non si tratta solo di una questione di retaggi storici.

Stando all’ultima Relazione annuale della Covip, l’autorità di vigilanza sui fondi pensione, appena il 33% della forza lavoro italiana risulta iscritta a una qualche forma di previdenza complementare. Un dato teoricamente in aumento rispetto al 2017 ma figlio in realtà di una crescita degli iscritti a fronte di una diminuzione della forza lavoro, osserva Stroppa. E che tende ancor più a assottigliarsi quando si parla di donne e giovani. Il tasso di partecipazione degli under 35 alla previdenza complementare, infatti, risulta pari al 22,7%. Per le donne si parla di meno del 28%, che fa il paio con un tasso di partecipazione degli uomini del 35,5%. Se poi si guarda al sistema pensionistico di base, le donne contano oggi su una pensione media Inps pari al -31% rispetto a quella percepita dagli uomini. Conseguenza non solo di carriere differenti ma anche di carriere discontinue (quando si parla delle donne). 


“Sappiamo che in Italia le donne tendono a rimanere impiegate, mentre ci sono più quadri e più dirigenti uomini. Questo si riflette sulla retribuzione e sulla contribuzione”, racconta l’esperta. “Discorso a parte merita l’effetto che diverse retribuzioni hanno a parità di ruolo. Anche nell’essere quadro, dirigenti e impiegate le donne soffrono di un divario retributivo. Però è un altro discorso. Il macrofenomeno è quello di una carriera più piatta, che si riflette in meno contributi lato Inps e, per forza di cose, in una minor pensione. A ciò ovviamente si possono aggiungere altri retaggi storici della nostra società, come possono essere maggiori buchi contributivi dovuti ad assenze come la maternità, vari congedi parentali o il part-time (tipicamente femminile)”.


Se poi si guarda alla previdenza complementare, e i dati sopracitati lo dimostrano, le donne si tutelano di meno e si iscrivono di meno. Ma anche se agissero diversamente, secondo Stroppa, il divario resterebbe incolmabile alle condizioni attuali. “La domanda che le donne dovrebbero porsi è come essere certe di avere un futuro previdenziale adatto alle proprie esigenze. Prendendo la giusta consapevolezza prima dei 50 anni. E oggi l’età media delle persone che aderiscono a un fondo pensione è di 46 anni”, racconta Stroppa. Il punto, aggiunge, non è raggiungere gli obiettivi di qualcun altro, ma essere consapevoli del proprio futuro tenore di vita e agire per costruire un futuro che lo si ritiene adatto alle proprie esigenze. Senza dimenticare il fatto che le donne dovrebbero tutelarsi di più perché godono di un’aspettativa di vita maggiore rispetto agli uomini. “Si stima che nel 2050 gli uomini passeranno dall’attuale speranza di vita di 80 anni a 85. E le donne da 85 a 90. Questo è uno dei motivi per cui anche l’età pensionabile si sta lentamente alzando. L’altro penso sia culturale. Noi donne abbiamo una tendenza a delegare questo tema ad altri, già in famiglia. Questo porta poi a prendere troppo tardi delle decisioni che possano tutelarci”, interviene ancora Stroppa. 


In Italia, tra l’altro, il 41% degli iscritti a una forma di previdenza complementare investe nella linea garantita (la più cautelativa), il 38% punta sulla linea bilanciata che unisce titoli di debito a titoli azionari e solo l’8% su quella azionaria. E le donne, numeri alla mano, hanno una minore propensione al rischio rispetto agli uomini. “Ci auguriamo che le persone, specie le più fragili (inclusi donne e giovani), si pongano domande prima. L’educazione finanziaria, non solo quella previdenziale, è auspicabile in questo contesto. Già solo la consapevolezza di alcuni concetti di base potrebbe spingere le donne a una gestione del proprio denaro più oculata e verso scelte più in linea con le proprie aspettative ed esigenze. Non è sbagliato scegliere la linea d’investimento cautelativa. Purché sia coerente con i propri valori e non legata allo status quo o alla mancata comprensione del quadro generale”.


(Articolo tratto dal magazine We Wealth di giugno 2022)

Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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