I limiti alla trasmissibilità delle quote di azienda

Laura Magna
Laura Magna
22.10.2021
Tempo di lettura: 7'
Dal testamento, al patto di famiglia, tutti le regole da rispettare e la pianificazione che serve per preservare il valore delle aziende quando passano di mano. Il parere di Augusto Santoro, partner di Simmons&Simmons
Di storie di aziende distrutte dalle successioni, le cronache sono piene. Cause infinite, famiglie sfaldate, patrimoni depauperati e attività produttive ridotte al lumicino. Non è un caso che, secondo i numeri di Aidaf e della Bocconi, solo un terzo delle imprese familiari italiane (che sono l'85% del totale) riesca a sopravvivere alla terza generazione. Ma ci sono strumenti e metodi utili per evitarlo. Ne abbiamo parlato con Augusto Santoro, partner di Simmons&Simmons.

Partiamo dalle basi: quali sono i vincoli minimi di legge da rispettare quando si trasmettono quote di aziende a più eredi? O, detto diversamente, i passi che un capitano d'azienda deve pianificare per evitare litigi e infine la distruzione dell'azienda?

Il trasferimento delle partecipazioni sociali in ottica successoria è un tema estremamente complesso che coinvolge istituti sia di diritto societario, sia del diritto di famiglia che del diritto successorio. In estrema sintesi, il nostro ordinamento prevede talune tutele per gli eredi sia quando il trasferimento delle partecipazioni sociali (cosi come gli altri beni presenti nell'asse ereditario) avvenga in assenza di un testamento o qualora esso non disponga integralmente circa l'intera quota dell'asse ereditario (nel qual caso si parlerà di “successione legittima”), sia quando invece un testamento sia stato predisposto e debba quindi essere tutelata la cosiddetta “quota di legittima” (ovvero la porzione indisponibile dell'asse).

Nell'uno e nell'altro caso il codice civile prevede delle proporzioni invalicabili da destinare necessariamente agli eredi ovvero ai “legittimari” a seconda della composizione della famiglia e dei superstiti.

La violazione (anche solo potenziale), per quanto qui di interesse, di tali proporzioni può avere dei risvolti molto rilevanti per la corretta trasmissione delle partecipazioni sociali rendendole in alcuni casi, ad esempio in caso di donazione o alienazione solo a taluni membri della famiglia per certi valori, sostanzialmente incommerciabili (o del tutto incommerciabili qualora il soggetto potenziale acquirente sia ad esempio un fondo di investimento, per definizione meno incline all'assunzione di un rischio collegato alla piena titolarità e all'indisturbato possesso della partecipazione acquisita).

In che modo e quando nel ciclo di vita di un'azienda un imprenditore deve pensare alla trasmissione delle quote per preservare la continuità aziendale rispettando sia le legittime sia le inclinazioni dei singoli eredi?

Non esiste forse un tempo giusto per ogni circostanza. Dipenderà dalle inclinazioni di ciascuno ma è pur vero che prima l'imprenditore sarà in grado di pensare al “passaggio generazionale” e minori saranno i rischi di non continuità dell'impresa o di perdita di valore ove si ricada in dinamiche successorie senza aver previamente stabilito le misure ed i diritti di gestione o di natura patrimoniale degli eredi.

Ciascun imprenditore (soprattutto se di prima generazione) vorrebbe continuare a gestire in prima persona l'azienda per il maggior tempo possibile (e questo è assolutamente comprensibile), ma nella nostra esperienza vediamo troppo spesso perdite di valore a ragione di dinamiche familiari non del tutto in linea con l'interesse alla migliore continuità aziendale.

Un coerente suggerimento potrebbe essere quello, non appena l'imprenditore cominci a pensare alla continuità dell'azienda, di comprendere le inclinazioni dei discendenti e non temporeggiare troppo nell'implementazione di soluzioni volte a salvaguardarne il valore.

Quali sono gli strumenti più efficaci per realizzare questo obiettivo?

Le soluzioni possono essere molteplici e, contrariamente a quello che si potrebbe immaginare, il nostro diritto propone una serie di strumenti efficienti ed estremamente flessibili per addivenire al risultato desiderato.

Quello forse più coerente (anche a salvaguardia delle posizioni stesse degli eredi) è l'esecuzione di un “patto di famiglia” strumento che – piuttosto recente – consente di derogare al divieto di patti successori ed ai diritti dei legittimari attribuendo la facoltà all'imprenditore di trasferire anzitempo le proprie partecipazioni sociali a uno o più discendenti, con l'obiettivo di attribuire una destinazione stabile all'impresa a favore di quello o quelli tra i propri discendenti ritenuto/i più idonei alla gestione della stessa evitando future dispute, attribuendo nel contempo ai discendenti a cui non fossero trasferite partecipazioni societarie un pari valore economico.

E come funziona il patto di famiglia?

Attraverso la sottoscrizione del patto tra tutti i legittimari (incluso il coniuge) si persegue l'obiettivo di evitare situazioni di violazione di quote di legittima risolvendo altresì il tema tipico della potenziale sopravvenienza di legittimari, cosa non possibile ad esempio con la donazione (ed anzi foriera della sopra menzionata incommerciabilità della partecipazione).

Attraverso dunque il patto di famiglia e l'utilizzo di flessibili strumenti previsti dal nostro ordinamento (quali azioni speciali portanti diritti di amministrazione maggiorata – ad esempio voto plurimo – ovvero diritti patrimoniali rafforzati – ad esempio portanti un maggiore diritto agli utili – è possibile conformare al meglio il passaggio generazionale, tenendo in considerazione sia le inclinazioni personali dei figli che obiettivi di rendimento per coloro i quali non fossero i prescelti per la continuazione dell'impresa.

Nel panorama delle aziende italiane, a maggioranza pmi a carattere familiare, il tema della successione è rilevante: ma quanto effettivamente se ne occupano gli imprenditori? Studi attestano che solo il 30% delle aziende sopravvive al terzo passaggio generazionale: quanto i "padroni" ne sono consapevoli?

Purtroppo l'esperienza pratica porta a ritenere che davvero pochi imprenditori siano in grado di valutare attentamente ed in maniera oggettiva il tema successorio, forse, dal un lato, come si accennava, poiché la quasi totalità degli stessi avrebbe la volontà di continuare il più possibile e, dall'altro, per poca conoscenza del fenomeno sopra accennato o per diffidenza rispetto al nostro sistema giuridico che invece offre possibilità senza pari sia dal punto di vista della fiscalità nella successione (la nostra tassazione in materia è tra le più basse) sia dal punto di vista della flessibilità degli strumenti a disposizione. Basti pensare che, a seguito dell'introduzione delle partecipazioni “a voto plurimo” sarà possibile prevedere (conformando correttamente lo statuto e prevedendo azioni senza voto – magari con diritti patrimoniali rafforzati) che detenendo solamente il 12,5% più una azione un socio eserciti il controllo di diritto di una società. L'imprenditore illuminato potrebbe quindi prevedere l'assegnazione ad uno degli eredi di tale tipologia di azioni ed agli altri (non interessati alla gestione) una rendita collegata ad una maggiorazione dei dividendi. Gli strumenti da utilizzare sono molteplici e dovranno tenere conto delle reali volontà e delle inclinazioni dei singoli, ma il suggerimento è (a meno che non ve ne siano le condizioni) di non lasciare ad una autoregolamentazione degli eredi la gestione delle partecipazioni, foriera di possibili dispute o litigi.
Giornalista professionista dal 2002, una laurea in Scienze della Comunicazione con una tesi sull'intelligenza artificiale e un master della Luiss in Giornalismo e Comunicazione di Impresa. Scrivo di macroeconomia, mercato italiano e globale, investimenti e risparmio gestito, storie di aziende. Ho lavorato per Il Mattino di Napoli; RaiNews24 e la Reuters a Roma; poi Borsa&Finanza, il Mondo e Plus24 a Milano. Oggi mi occupo del coordinamento del Magazine We Wealth (e di quello di tre figli tra infanzia e adolescenza). Collaboro anche con MF Milano Finanza.

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