Lavorare all'estero: quello che occorre sapere

Nicola Dimitri
14.9.2022
Tempo di lettura: 5'
Gli italiani che lavorano all'estero sono in media molto istruiti e si recano oltre i confini nazionali per conseguire scatti di carriera o perché sono stati assunti da imprese straniere

Lavorare all'estero significa fare i conti non solo con il luogo di lavoro ma anche con l'ambiente circostante

Trovarsi all'estero per lavoro può rivelarsi un'esperienza complessa per via delle questioni di natura contrattuale, previdenziale e fiscale che emergono

Expatriates ed expats: di chi si tratta?

L’integrazione dei mercati ha inciso in modo significativo sul mondo del lavoro, favorendo il fenomeno conosciuto come global mobility.

Per un verso, le aziende, piccole o grandi che siano, hanno da tempo compreso che la gestione del “capitale umano” è un fattore chiave per lo sviluppo del proprio business, di modo che sono sempre di più i dipendenti, gli “expatriates” che – attraverso la formula della trasferta, del trasferimento o del distacco – vengono inviati in missione all’estero per approcciare nuovi mercati o avviare/gestire temporaneamente una subsidiary.

Per un altro verso, i professionisti, gli studiosi, gli imprenditori, sempre più, in piena autonomia decidono di localizzarsi all’estero, i c.d. expats, per esportare le proprie competenze e individuare nuove possibilità di carriera e di crescita personale-lavorativa.

Le ragioni che possono spingere una società o un individuo a scegliere l’estero sono diverse. Ad esempio, l’espatrio può rendersi necessario per:

  • riempire la mancanza di talenti locali competenti
  • trasferire valore presso una sussidiaria estera sfruttando le proprie specifiche abilità e le skills di un dipendente
  • affidare ad un manager esperto il controllo di una branch estera 
  • sfruttare a proprio favore framework normativi idonei a valorizzare il proprio e personale progetto di business
  • valorizzare pregresse competenze che, nel paese di residenza, a differenza del paese estero di arrivo, non risultano essere particolarmente apprezzate.

Quali sono le migliori destinazioni?

Lavorare all'estero significa fare i conti non solo con il luogo di lavoro ma anche con l'ambiente circostante, che influisce significativamente sull'esperienza lavorativa complessiva del professionista straniero che si trova oltre confine: si pensi ad un italiano, dipendente di un’azienda o libero professionista, che per lavoro si trova a dover trascorrere parecchio tempo in uno Stato geograficamente remoto e caratterizzato da tradizioni profondamente diverse.

In questi termini, quando è possibile scegliere, per individuare il luogo ideale ove trasferirsi occorrerebbe considerare i fattori che, direttamente o indirettamente, incidono sulla qualità della vita. Si parla, ad esempio di:

  • accessibilità degli alloggi
  • prospettive lavorative e di vita sociale
  • apertura della popolazione locale
  • dimensione normativa, anche fiscale, idonea a valorizzare le proprie aspettative relazionali e di business
  • stabilità finanziaria e politica del paese

Ebbene, tenendo conto di questi e altri fattori, InterNations, la più grande comunità di espatriati al mondo, ha stilato per il 2022 una classifica delle migliori e peggiori nazioni dove trasferirsi per lavorare.

Nelle destinazioni top del 2022, gli espatriati apprezzano soprattutto la facilità di insediamento

A tal riguardo, le prime dieci destinazioni per gli expat risultano:

  • Messico
  • Indonesia
  • Taiwan
  • Portogallo
  • Spagna
  • Emirati Arabi Uniti
  • Vietnam
  • Thailandia
  • Australia
  • Singapore

Gli espatriati in Messico sono soddisfatti del loro potere d'acquisto e della facilità di insediamento. Il Paese è infatti al primo posto per cordialità locale, facilità nel trovare nuovi amici, offerta culturale.

Al contrario, le ultime 10 destinazioni per gli espatri per InterNations risultano:

  • Malta
  • Italia
  • Turchia
  • Sudafrica
  • Giappone
  • Lussemburgo
  • Cipro
  • Hong Kong
  • Nuova Zelanda
  • Kuwait

Il Kuwait, dunque, tocca l'ultima posizione. Gli espatriati soffrono per la difficoltà di trovare nuove amicizie, per l'ambiente culturale e per la difficoltà di insediamento.

Profili fiscali e potenziali criticità

Gli italiani che lavorano all'estero sono in media molto istruiti e si recano oltre i confini nazionali per conseguire scatti di carriera o perché sono stati assunti da imprese straniere.

Le destinazioni più comuni per gli espatriati italiani sono Germania, Svizzera, Regno Unito, Stati Uniti e Paesi Bassi.

Tuttavia, benché la mobilità degli expatriates rappresenti un vantaggio per l’individuo o l'impresa che intende migliorare la propria posizione in un Paese straniero, è evidente che può rivelarsi un fenomeno complesso che involge questioni di natura contrattuale, previdenziale e fiscale.

In particolare, occorre non sottovalutare le implicazioni fiscali correlate al tema degli expatriates in quanto – sia a livello corporate, che individuale per il lavoratore – richiedono un'applicazione coordinata delle normative a più livelli coinvolte.

Una questione primaria concerne la residenza fiscale: ad esempio, dai criteri che, in linea generale, governano le regole di tassazione dei redditi prodotti all'estero, in caso di mantenimento della residenza in Italia, il tempo di permanenza all'estero del lavoratore dipendente è essenziale per determinare il luogo ove il reddito deve essere assoggettato ad imposta.

Ai sensi dell'art. 2 TUIR, infatti, saranno considerati residenti in Italia i soggetti che risultano iscritti nelle anagrafi della popolazione residente per la maggior parte del periodo d'imposta - vale a dire per almeno 183 giorni (184 per gli anni bisestili) -, e che hanno in Italia il domicilio o la residenza.

È bene notare che opererà una presunzione di residenza nel caso in cui il soggetto conservi in Italia un legame affettivo o abbia il proprio centro di interessi. Fino a prova contraria, inoltre, si presumono residenti in Italia i soggetti cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati nei cd. paradisi fiscali.

Il World Wide Taxation Principle, invece, rappresenta il principio in forza del quale, il cittadino italiano che lavora all'estero (non iscritto all'AIRE), sarà considerato fiscalmente residente in Italia e, conseguentemente, ivi avrà l'obbligo di pagare le imposte. Per i redditi ovunque prodotti.

Un altro aspetto da non sottovalutare è quello che attiene al fenomeno della doppia imposizione, che ricorre nell'ipotesi in cui il reddito prodotto all'estero, dal soggetto residente, sia tassato anche nel Paese della fonte.

Ebbene, quando si tratta di expatriates gli aspetti da prendere in considerazione sono molteplici. Pertanto, avvalersi di una consulenza per la compliance normativa, per analizzare la propria posizione fiscale o le problematiche fiscali dell'azienda che distacca il personale all'estero, può rivelarsi essenziale.


Redattore e coordinatore dell'area Fiscal & Legal di We Wealth. In precedenza ha lavorato nell'ambito del diritto tributario e della fiscalità internazionale presso primari studi legali

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