Investire in startup, arriva Safe: luci e ombre del nuovo strumento

Il Safe (Simple agreement for future equity) è diventato negli ultimi 10 anni lo strumento di finanziamento maggiormente utilizzato dalle startup della Silicon Valley anche grazie alla divulgazione dei modelli standard predisposti dall’acceleratore YCombinator, nell’ottica della semplicità, trasparenza e speditezza della raccolta.
Cos’è un Safe
Il meccanismo del Safe è semplice: a fronte dell’erogazione alla startup di una somma di denaro senza diritto per l’investitore al rimborso, si prevede la conversione in azioni/quote della startup secondo un rapporto di cambio che sarà determinato al verificarsi del primo round successivo (o superiore ad un certo ammontare), ovvero in caso di exit.
Ciò consente di differire la valutazione puntuale della startup a un momento successivo all’erogazione iniziale del capitale, quando il valore sarà auspicabilmente maggiore, riducendo così al minimo i tempi di negoziazione e la diluizione dei soci. La determinazione della valutazione della startup rappresenta la principale variante dei modelli di Safe, potendosi prevedere rispetto alla post money valuation un floor (a vantaggio della startup), un cap (a vantaggio dei Safe-holder) o un discount (ossia uno sconto rispetto alla valuation del round di conversione a vantaggio dei Safe -holder) ovvero un mix di essi.
Dal punto di vista della governance, il Safe non attribuisce diritti di voto, consentendo così ai founder di mantenere il controllo della startup.
In Italia strumenti similari al Safe hanno avuto di recente ulteriore diffusione tramite finanziamenti convertendi, strutturati in forma sia di contratti d’investimento (similari al Safe) che di Strumenti finanziari partecipativi (Sfp) aventi le medesime caratteristiche. Un elemento di particolarità di tali tipologie di Safe è costituito dalla previsione di interessi figurativi che incrementano l’apporto dell’investitore al solo fine di calcolare il rapporto di conversione, in aggiunta a un discount sulla valuation che bilancia a favore del Safe-holder l’assenza di di cap.
Ancora più di recente è stato istituito un tavolo tecnico tra operatori dell’industry italiana del venture capital che si è occupato di predisporre un modello di Safe adattato alle complessità del nostro sistema, le cui caratteristiche sostanzialmente non divergono dalla versione californiana con “discount”.
La natura fiscale del Safe
Un aspetto originariamente problematico del Safe consisteva nella qualificazione dell’apporto del Safe-holder come equity ovvero come debito, nonostante nella prassi operativa l’apporto fosse iscritto in apposita riserva di patrimonio netto “targata” a favore dell’investitore (postergata ma disponibile per ripianare eventuali perdite). È con estremo favore che deve quindi essere accolta la recentissima e inequivocabile presa di posizione dell’Agenzia delle entrate (Sintesi n. 1/2023) sulla natura fiscale di equity di alcuni accordi convertendi (in forma contrattuale e Sfp), di cui viene riconosciuta la funzione strumentale alla creazione del rapporto sociale.
In particolare, l’Agenzia ha chiarito che «la partecipazione immediata alla perdite e prospettica agli utili della società emittente esprima chiaramente la natura partecipativa degli strumenti “convertendi” in esame e, dunque, la loro assimilabilità alle azioni ai fini dell’individuazione del regime tributario applicabile», tenendo conto da un lato che tali accordi non prevedono alcun diritto al rimborso dell’apporto che quindi determina una piena esposizione al rischio di perdita e dall’altro che la partecipazione agli utili è rinviata al momento della conversione in quote della startup, mentre si riconosce correttamente che eventuali interessi figurativi non determinano alcun effetto reddituale. Dalla assimilabilità del Safe alle azioni discende il regime fiscale applicabile in capo a investitori e startup.
Il trattamento fiscale per investitori e startup
Quanto alla startup, l’Agenzia ha chiarito che non generano effetti reddituali l’apporto iniziale, l’emissione delle quote al momento della conversione, così come l’eventuale definitiva mancata conversione.
Per gli investitori (sia persone fisiche che società), sono fiscalmente neutrali sia l’apporto iniziale sia la conversione in quote da operarsi in continuità.
Per gli investitori società (ad esempio, veicoli di club deal), sono fiscalmente irrilevanti ai fini Ires/Irap anche le svalutazioni/rivalutazioni e lo stralcio dello strumento, mentre le minusvalenze realizzate con la vendita del Safe sono indeducibili ove siano rispettativi i requisiti per applicare la cosiddetta participation exemption (Pex).
L’eventuale plusvalenza realizzata dall’investitore persona fisica vendendo il Safe dovrebbe essere soggetta a imposta sostitutiva del 26%, mentre l’eventuale minusvalenza dovrebbe risultare compensabile con eventuali plusvalenze realizzate nel periodo d’imposta o in quelli successivi (non oltre il quarto).
Deve, inoltre, accogliersi con particolare favore la precisazione resa in merito al decorso del cosiddetto holding period di 12 mesi per l’applicazione del regime di esenzione Pex in capo alle società. Infatti, secondo l’Agenzia detto periodo decorre dalla sottoscrizione dello strumento, consentendo così di applicare la Pex anche quando la conversione avvenga nel contesto dell’exit. Ove, infatti, decorresse dal momento della conversione dello strumento, il regime di esenzione Pex sarebbe di fatto inapplicabile.
I Safe possono essere inclusi in un piano d’investimento di risparmio (Pir) qualora strutturati come Sfp o altro titolo trasferibile, dovendosi trattare di strumenti finanziari nell’accezione del Tuf.
I dubbi da risolvere
Residuano tuttavia taluni dubbi applicativi - che se risolti favorevolmente potrebbero incrementare l’appeal di questi strumenti - con riferimento (i) alla deduzione Ace in capo alla startup e (ii) agli incentivi per investimenti in startup (Pmic) innovative.
Quanto alla deduzione Ace, il fatto che l’Agenzia abbia riconosciuto la natura partecipativa dello strumento convertendo, si auspica possa condurre a un ripensamento dell’interpretazione restrittiva resa in tema di Sfp (risposta n. 888/2021 e 552/2022), consentendo così di applicare l’agevolazione senza attendere la conversione (solo eventuale), posto che l’esclusione dell’obbligo di rimborso assicura quella patrimonializzazione della società che il legislatore ha voluto incentivare con l’Ace.
Per le medesime ragioni, si auspica che l’Agenzia possa riconoscere la fruibilità in capo all’investitore dell’agevolazione per investimenti in startup (pmi) innovative (detrazione/deduzione pari al 30%) già nel periodo d’imposta in cui è realizzato l’investimento, superando così l’interpretazione restrittiva (risposta 96/2019, ancorché riferita a Sfp contabilizzati come debito) secondo cui il beneficio sarebbe fruibile nel periodo d’imposta in cui avviene la conversione. Del resto, se il beneficio fosse utilizzabile solo al momento della conversione in quote, si determinerebbe un inaccettabile effetto distorsivo che renderebbe, a fronte del medesimo rischio equity, più vantaggioso investire mediante un aumento di capitale rispetto a investire tramite Safe. Infatti, se l’agevolazione spettasse nel periodo di imposta in cui avviene la conversione e la startup fallisse prima di tale momento, non vi sarebbe alcuna possibilità di fruire dell’agevolazione fiscale.
(Articolo scritto in collaborazione con Carlo Andrea Curti, Di Tanno Associati)