Investimenti in società non quotate: che forma giuridica scegliere?

21.10.2020
Tempo di lettura: 2'
Visti i trend di investimento nell'economia reale è utile chiedersi quale sia la forma giuridica più idonea per effettuare tali investimenti, potendo gli stessi essere detenuti tanto da parte di persone fisiche quanto di società
Gli investimenti nella cosiddetta “economia reale” – complici anche l'aumentata volatilità dei mercati azionari e i risicati rendimenti dei titoli obbligazionari – sono sempre più diffusi, specialmente nei portafogli di una certa dimensione.
Dagli investimenti in venture capital o start up seed o early stage a quelli in business tradizionali e consolidati, le forme per l'investimento nei private markets sono le più varie: equity crowdfunding, sottoscrizione di aumenti di capitale, club deal od accordi di coinvestimento di varia natura.
Il trend sembra, peraltro, destinato a consolidarsi ulteriormente: visti gli ottimi ritorni sul capitale che – mediamente – tali investimenti offrono, è probabile che il “non quotato” sarà sempre più presente nei patrimoni di persone fisiche e famiglie.
È quindi utile chiedersi quale sia la forma giuridica più idonea per effettuare tali investimenti, potendo gli stessi essere detenuti tanto da parte di persone fisiche quanto di società.
Spesso l'aspetto fiscale può essere decisivo: si pensi, ad esempio, alla normativa sulle start up innovative, che riconosce alle persone fisiche che abbiano investito nell'anno 2020 una detrazione a fini IRPEF (ovvero calcolata sul reddito) pari al 50% della somma investita per un valore massimo di investimento pari a 100.000 euro da mantenere per almeno tre anni, e alle società una deduzione sull'imponibile IRES pari al 30% per un importo di investimento massimo pari a 1.800.000 di euro.
Chi abbia interesse, quindi, a beneficiare della consistente detrazione IRPEF, sarà indotto ad effettuare l'investimento in start up innovative personalmente (o a mezzo di società semplice, essendo tale tipo societario parificato, sotto tale aspetto, alle persone fisiche, come chiarito dall'Agenzia delle Entrate con la circolare n. 16/E dell'11 giugno 2014).
L'investimento potrà essere effettuato in via diretta oppure attraverso una società fiduciaria, venendo in tal caso i benefici fiscali trasferiti in capo ai fiducianti (e potendo, al contempo, essere utilizzati i vantaggi offerti dall'utilizzo della fiduciaria, tanto sotto il profilo della riservatezza quanto sotto quello della gestione della fiscalità).
Qualora si tratti di società che non siano start up innovative, potrà valutarsi (specialmente nel caso in cui vi siano plurimi investimenti, in diverse aziende) la possibilità di detenere le partecipazioni attraverso una società di capitali (S.r.l., S.p.a. o S.a.p.a.) che funga da “cassaforte”.
In tal caso, ai vantaggi propri dell'utilizzo della holding (tra i quali: protezione patrimoniale, efficienza gestionale e finanziaria, agevolazione del passaggio generazionale) si aggiunge l'indubbio vantaggio fiscale dato dalla possibilità di utilizzare il regime c.d. “PEX” (participation exemption), ovverosia il regime delle plusvalenze esenti di cui all'articolo 87 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.U.I.R.), in base al quale le plusvalenze realizzate nel relativo regime concorrono in percentuale minima (5%, con un taglio dunque dell'imponibile fiscale sulla plusvalenza di ben il 95%) al reddito imponibile dell'impresa.
Tanto nella prospettiva che la società distribuisca dividendi, quanto in quella nella quale la partecipazione venga alienata ad un prezzo maggiore rispetto a quello di carico, generando quindi una plusvalenza, il vantaggio è evidentemente molto consistente: sempre che, sia inteso, il reddito (capital gain o dividendo) generato dalla partecipazione rimanga in capo alla società holding (nella prospettiva – normalmente - di effettuare ulteriori investimenti). Nel caso di distribuzione degli utili, il socio sconterà invece un'imposizione pari al 26%.
La stessa disciplina fiscale si applicherà alle plusvalenze realizzate sulle partecipazioni detenute personalmente, a meno che non si provveda alla rivalutazione del valore delle medesime (opportunità che, negli ultimi anni, è stata costantemente offerta dal nostro legislatore fiscale: il “Decreto Rilancio” prevede oggi, fino al 15 novembre 2020, la possibilità di rivalutare le partecipazioni, tanto qualificate quanto non qualificate, detenute alla data del 1° luglio 2020, versando un'imposta pari all'11%).
Tale possibilità è offerta anche – per espressa previsione di legge - alla società semplice: essa si presenta così uno strumento estremamente valido anche per la detenzione di partecipazioni in società non quotate, abbinando alle caratteristiche segregative, all'economicità ed alla semplicità di utilizzo una disciplina fiscale analoga a quella prevista per le persone fisiche.
È infine utile ricordare che - nel rispetto di precisi limiti qualitativi e quantitativi - gli strumenti finanziari emessi da società non quotate possono oggi trovare collocazione all'interno dei Piani Individuali di Risparmio (in regime di risparmio amministrato, nelle forme di: custodia e amministrazione; gestione individuale di portafogli; polizza; mandato fiduciario con o senza intestazione), con conseguente esenzione tanto dalle imposte sui redditi di capitale (derivanti da singoli strumenti finanziari detenuti da almeno cinque anni) quanto dalle imposte di successione.
Il trend sembra, peraltro, destinato a consolidarsi ulteriormente: visti gli ottimi ritorni sul capitale che – mediamente – tali investimenti offrono, è probabile che il “non quotato” sarà sempre più presente nei patrimoni di persone fisiche e famiglie.
È quindi utile chiedersi quale sia la forma giuridica più idonea per effettuare tali investimenti, potendo gli stessi essere detenuti tanto da parte di persone fisiche quanto di società.
Spesso l'aspetto fiscale può essere decisivo: si pensi, ad esempio, alla normativa sulle start up innovative, che riconosce alle persone fisiche che abbiano investito nell'anno 2020 una detrazione a fini IRPEF (ovvero calcolata sul reddito) pari al 50% della somma investita per un valore massimo di investimento pari a 100.000 euro da mantenere per almeno tre anni, e alle società una deduzione sull'imponibile IRES pari al 30% per un importo di investimento massimo pari a 1.800.000 di euro.
Chi abbia interesse, quindi, a beneficiare della consistente detrazione IRPEF, sarà indotto ad effettuare l'investimento in start up innovative personalmente (o a mezzo di società semplice, essendo tale tipo societario parificato, sotto tale aspetto, alle persone fisiche, come chiarito dall'Agenzia delle Entrate con la circolare n. 16/E dell'11 giugno 2014).
L'investimento potrà essere effettuato in via diretta oppure attraverso una società fiduciaria, venendo in tal caso i benefici fiscali trasferiti in capo ai fiducianti (e potendo, al contempo, essere utilizzati i vantaggi offerti dall'utilizzo della fiduciaria, tanto sotto il profilo della riservatezza quanto sotto quello della gestione della fiscalità).
Qualora si tratti di società che non siano start up innovative, potrà valutarsi (specialmente nel caso in cui vi siano plurimi investimenti, in diverse aziende) la possibilità di detenere le partecipazioni attraverso una società di capitali (S.r.l., S.p.a. o S.a.p.a.) che funga da “cassaforte”.
In tal caso, ai vantaggi propri dell'utilizzo della holding (tra i quali: protezione patrimoniale, efficienza gestionale e finanziaria, agevolazione del passaggio generazionale) si aggiunge l'indubbio vantaggio fiscale dato dalla possibilità di utilizzare il regime c.d. “PEX” (participation exemption), ovverosia il regime delle plusvalenze esenti di cui all'articolo 87 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.U.I.R.), in base al quale le plusvalenze realizzate nel relativo regime concorrono in percentuale minima (5%, con un taglio dunque dell'imponibile fiscale sulla plusvalenza di ben il 95%) al reddito imponibile dell'impresa.
Tanto nella prospettiva che la società distribuisca dividendi, quanto in quella nella quale la partecipazione venga alienata ad un prezzo maggiore rispetto a quello di carico, generando quindi una plusvalenza, il vantaggio è evidentemente molto consistente: sempre che, sia inteso, il reddito (capital gain o dividendo) generato dalla partecipazione rimanga in capo alla società holding (nella prospettiva – normalmente - di effettuare ulteriori investimenti). Nel caso di distribuzione degli utili, il socio sconterà invece un'imposizione pari al 26%.
La stessa disciplina fiscale si applicherà alle plusvalenze realizzate sulle partecipazioni detenute personalmente, a meno che non si provveda alla rivalutazione del valore delle medesime (opportunità che, negli ultimi anni, è stata costantemente offerta dal nostro legislatore fiscale: il “Decreto Rilancio” prevede oggi, fino al 15 novembre 2020, la possibilità di rivalutare le partecipazioni, tanto qualificate quanto non qualificate, detenute alla data del 1° luglio 2020, versando un'imposta pari all'11%).
Tale possibilità è offerta anche – per espressa previsione di legge - alla società semplice: essa si presenta così uno strumento estremamente valido anche per la detenzione di partecipazioni in società non quotate, abbinando alle caratteristiche segregative, all'economicità ed alla semplicità di utilizzo una disciplina fiscale analoga a quella prevista per le persone fisiche.
È infine utile ricordare che - nel rispetto di precisi limiti qualitativi e quantitativi - gli strumenti finanziari emessi da società non quotate possono oggi trovare collocazione all'interno dei Piani Individuali di Risparmio (in regime di risparmio amministrato, nelle forme di: custodia e amministrazione; gestione individuale di portafogli; polizza; mandato fiduciario con o senza intestazione), con conseguente esenzione tanto dalle imposte sui redditi di capitale (derivanti da singoli strumenti finanziari detenuti da almeno cinque anni) quanto dalle imposte di successione.