Impugnare la rinuncia all'eredità: quali sono i presupposti

Il diritto di accettare l’eredità è un diritto potestativo che spetta al delato all’eredità e che può venire meno, tra le altre cose, per rinunzia compiuta dal delato.
Rinuncia all’eredità: cos’è
La rinunzia all’eredità si può definire come il negozio giuridico con il quale il chiamato dismette il diritto di accettare l’eredità, senza trasferirlo ad altri. È un negozio unilaterale e non recettizio, a forma solenne in quanto l’art. 519 c.c. prescrive che esso deve farsi, a pena di nullità, a mezzo di dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondiario in cui si è aperta la successione.
La rinuncia, ai sensi dell’art. 520 c.c., non può essere condizionata, né a termine, né parziale, e l’art. 521 c.c. ne stabilisce l’effetto retroattivo (“chi rinunzia all'eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato”), disponendo altresì il medesimo articolo che il rinunciante possa ritenere la donazione o domandare il legato a lui fatto fino a concorrenza della porzione disponibile.
La rinuncia è, secondo i limiti dettati dagli artt. 524 c.c. e seguenti, un atto impugnabile sia dallo stesso autore della rinuncia, sia dai suoi creditori.
L’impugnazione della rinuncia
L’impugnazione della rinuncia da parte del rinunciante può farsi, ai sensi dell’art. 526 c.c., solo per violenza o dolo, nel termine di prescrizione di cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo.
Per quanto riguarda l’impugnazione da parte dei creditori, dispone l’art. 524 c.c. che “(1) se taluno rinunzia, benché senza frode, a un'eredità con danno dei suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti. (2) Il diritto dei creditori si prescrive in cinque anni dalla rinunzia”. Va chiarito che, nonostante il tenore letterale della norma, a seguito del vittorioso esperimento dell’impugnazione della rinuncia né i creditori né il rinunciante accettano l’eredità o conseguono i beni ereditari: si tratta in realtà di un’azione di natura esclusivamente strumentale e cautelare, che autorizza i creditori non ad accettare effettivamente l’eredità, ma solo a procedere esecutivamente sui beni ereditari fino al soddisfacimento dei loro crediti.
I presupposti dell’impugnazione della rinuncia
L’impugnazione richiede, in linea generale, due presupposti: - che l’eredità rinunciata sia attiva, e pertanto atta a incrementare il patrimonio del debitore e favorire il soddisfacimento dei creditori; - che il patrimonio del debitore non sia di per sé sufficiente a garantire i debiti.
L’impugnazione della rinunzia non instaura un procedimento di volontaria giurisdizione, ma un contenzioso ordinario; la domanda e la sentenza che definisce il giudizio sono trascrivibili ai sensi dell’art. 2652 c.c. (“si devono trascrivere, qualora si riferiscano ai diritti menzionati nell’articolo 2643, le domande giudiziali indicate dai numeri seguenti, agli effetti per ciascuna di esse previsti: 1) le domande di risoluzione dei contratti e quelle indicate dal secondo comma dell’articolo 648 e dall’ultimo comma dell’articolo 793, le domande di rescissione, le domande di revocazione delle donazioni, nonché quelle indicate dall’articolo 524”).
L’effetto per i creditori è retroattivo, nel senso che la trascrizione della domanda (se proposta anche contro colui il quale ha beneficiario della rinunzia in quanto convocato in giudizio, cfr. Cass. 15468/2003) e della sentenza prevale sulle trascrizioni posteriori, anche contro terzi aventi causa. La legittimazione attiva all’azione è riconosciuta a tutti coloro che vantino una ragione di credito, anche se non ancora accertata nel suo preciso ammontare, non risultando necessario che il credito sia liquido ed esigibile essendo, quello in esame, un rimedio cautelare; è necessario che il credito sia sorto prima della rinunzia. L’azione del creditore si prescrive in cinque anni dalla rinunzia.