I controlli sostanziali sui contratti finanziari di investimento

3.12.2021
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I controlli sostanziali sui contratti finanziari di investimento si rivelano il risultato di una ricostruzione complessa, composta da alcuni passaggi fondamentali. Cosa bisogna tenere in considerazione?
Il problema della validità dei singoli prodotti e servizi finanziari, non per contrasto con norme specifiche, ma per violazione di profili di ordine generale e pertanto attinenti ai principi fondamentali dell'ordinamento, pone il delicato profilo dell'ammissibilità del sindacato della sostanza delle scelte dell'autonomia privata in una materia di elevatissima complessità tecnica economico-finanziaria.
Il punto di partenza della complessa indagine è costituito dalla natura del risparmio destinato agli investimenti finanziari. In questi, i valori restano di titolarità dei risparmiatori, che usufruiscono dei benefici e corrono i rischi degli investimenti, con l'intermediario che non ha, né deve avere, alcun interesse al riguardo, se non quello a una commissione pre-determinata con trasparenza.
Netta la differenza con i depositi bancari, in cui le somme depositate passano in proprietà alle banche, che assumono l'obbligo di restituzione ai risparmiatori del “tantundem” maggiorato di interessi, e così anche i vantaggi e i rischi dei successivi impieghi a mezzo fidi e operazioni di impieghi.
Ebbene, la natura del risparmio non può essere lesa, essendo la sua tutela imperativa in tutte le forme (art. 47 Costituzione). In altri termini, i diritti dei risparmiatori sui loro valori non possono essere assolutamente inficiati.
Né il risparmio può essere confuso con la speculazione, vista l'irriducibilità totale dei due fattori produttivi nell'ambito del processo economico: l'art. 47 è univoco al riguardo.
Occorre individuare i suoi elementi contraddistintivi, che sembrano di natura economicistica e così difficili da essere individuati giuridicamente.
L'apparenza è fallace: infatti, la natura economicistica è esclusa dalla circostanza, palese e univoca, che nell'economia reale non si possono vendere prodotti dannosi.
In materia finanziaria di investimento i difetti e i danni non si individuano “prima facie”, in quanto gli strumenti finanziari sono beni di secondo grado, il cui valore è così determinato “per relationem”, vale a dire a dire che è quello dei beni in cui essi sono investiti.
E allora il principio spesso conclamato che non si può sindacare l'autonomia privata nella scelta dei prodotti, in quanto ad alto rischio corrisponde alla possibilità di guadagni, è del tutto fallace.
Infatti, tale principio trascura che oltre ai vizi occulti a monte sussistono i prodotti lesivi del risparmio, in cui il rischio è abnorme e/o le possibilità reddituali sono deviate verso terzi.
In questi casi non si può parlare di vizi occulti, infatti sono in gioco non realtà ma potenzialità, proprio perché nella finanza la realtà è solo virtuale: tale affermazione non è meramente a effetto ma è tecnica da un punto di vista non solo economico, bensì anche giuridico, alla luce di quanto sopra detto sulla natura degli strumenti finanziari di investimento.
Allora, la valutazione delle potenzialità richiede un'analisi di merito che va a individuare non la verità effettiva sotto l'apparenza, ma la deviazione della funzione reale dell'operazione da quella legale: non è il singolo bene su cui si incentra l'attenzione ma l'assetto contrattuale complessivo, non solo l'oggetto ma anche la causa.
Ciò viene addirittura aggravato nei prodotti complessi - a partire dagli strumenti derivati - in cui già l'oggetto non esiste in “rerum natura”, come invece accade per azioni e obbligazioni, ma è frutto anch'esso di costruzione elaborata e sofisticata. Quindi è lo stesso oggetto che si colora in termini funzionali e indirizza la causa. Già la valutazione di liceità dell'oggetto è ben più complessa di quella di cui al codice civile.
E così si comprende bene che, a finire, quella relativa alla causa è una valutazione straordinariamente complessa, in quanto l'autonomia privata nel settore finanziario è tutelata sì ma in termini funzionali di salvaguardia del risparmio, senza la quale il ruolo dell'intermediazione finanziaria è addirittura privo di senso.
Il punto di partenza della complessa indagine è costituito dalla natura del risparmio destinato agli investimenti finanziari. In questi, i valori restano di titolarità dei risparmiatori, che usufruiscono dei benefici e corrono i rischi degli investimenti, con l'intermediario che non ha, né deve avere, alcun interesse al riguardo, se non quello a una commissione pre-determinata con trasparenza.
Netta la differenza con i depositi bancari, in cui le somme depositate passano in proprietà alle banche, che assumono l'obbligo di restituzione ai risparmiatori del “tantundem” maggiorato di interessi, e così anche i vantaggi e i rischi dei successivi impieghi a mezzo fidi e operazioni di impieghi.
Ebbene, la natura del risparmio non può essere lesa, essendo la sua tutela imperativa in tutte le forme (art. 47 Costituzione). In altri termini, i diritti dei risparmiatori sui loro valori non possono essere assolutamente inficiati.
Né il risparmio può essere confuso con la speculazione, vista l'irriducibilità totale dei due fattori produttivi nell'ambito del processo economico: l'art. 47 è univoco al riguardo.
Occorre individuare i suoi elementi contraddistintivi, che sembrano di natura economicistica e così difficili da essere individuati giuridicamente.
L'apparenza è fallace: infatti, la natura economicistica è esclusa dalla circostanza, palese e univoca, che nell'economia reale non si possono vendere prodotti dannosi.
In materia finanziaria di investimento i difetti e i danni non si individuano “prima facie”, in quanto gli strumenti finanziari sono beni di secondo grado, il cui valore è così determinato “per relationem”, vale a dire a dire che è quello dei beni in cui essi sono investiti.
E allora il principio spesso conclamato che non si può sindacare l'autonomia privata nella scelta dei prodotti, in quanto ad alto rischio corrisponde alla possibilità di guadagni, è del tutto fallace.
Infatti, tale principio trascura che oltre ai vizi occulti a monte sussistono i prodotti lesivi del risparmio, in cui il rischio è abnorme e/o le possibilità reddituali sono deviate verso terzi.
In questi casi non si può parlare di vizi occulti, infatti sono in gioco non realtà ma potenzialità, proprio perché nella finanza la realtà è solo virtuale: tale affermazione non è meramente a effetto ma è tecnica da un punto di vista non solo economico, bensì anche giuridico, alla luce di quanto sopra detto sulla natura degli strumenti finanziari di investimento.
Allora, la valutazione delle potenzialità richiede un'analisi di merito che va a individuare non la verità effettiva sotto l'apparenza, ma la deviazione della funzione reale dell'operazione da quella legale: non è il singolo bene su cui si incentra l'attenzione ma l'assetto contrattuale complessivo, non solo l'oggetto ma anche la causa.
Ciò viene addirittura aggravato nei prodotti complessi - a partire dagli strumenti derivati - in cui già l'oggetto non esiste in “rerum natura”, come invece accade per azioni e obbligazioni, ma è frutto anch'esso di costruzione elaborata e sofisticata. Quindi è lo stesso oggetto che si colora in termini funzionali e indirizza la causa. Già la valutazione di liceità dell'oggetto è ben più complessa di quella di cui al codice civile.
E così si comprende bene che, a finire, quella relativa alla causa è una valutazione straordinariamente complessa, in quanto l'autonomia privata nel settore finanziario è tutelata sì ma in termini funzionali di salvaguardia del risparmio, senza la quale il ruolo dell'intermediazione finanziaria è addirittura privo di senso.
In definitiva, i controlli sostanziali sui contratti finanziari di investimento si rivelano il risultato di una ricostruzione complessa, composta di tre fondamentali passaggi.
In primo luogo, è una ricostruzione che parte dal ruolo del risparmio, quale reddito non speso e destinato ad alimentare l'economia, e così fondamentale sia per la stessa economia nel suo complesso sia per assicurare dignitose condizioni economiche ai suoi titolari, il che rende la sua tutela imperativa e inderogabile, come già visto.
Ciò ribadito, occorre evidentemente ricostruire la sua essenza strutturale e la sua funzione.
In tale ottica, occorre individuare cosa appartiene al risparmio e cosa no.
Ciò per accertare sia quali investimenti siano oggettivamente incompatibili, sia quali comportamenti dei risparmiatori siano al di fuori dell'ambito del risparmio e al di fuori della tutela.
L'ultimo aspetto è particolarmente delicato in quanto sembrerebbe in contrasto con l'imperatività della tutela, che sembrerebbe richiedere la valutazione della sola oggettività delle operazioni, mentre il comportamento soggettivo dell'interessato richiama le sue scelte, il che sembrerebbe per l'appunto escludere l'imperatività della tutela.
Di qui l'orientamento, consolidato da circa 15 anni, della Corte di Cassazione, teso a ridurre drasticamente il campo d'azione della nullità, a favore della annullabilità per vizi del consenso del risparmiatore e della responsabilità contrattuale per inadempimento dell'intermediario.
Si deve però ribattere, in modo da mostrare la fallacia dell'apparenza, che il profilo soggettivo si atteggia in modo assai diverso nei due diversi ambiti: una cosa è rappresentata dall'oggettività e dall'imperatività della tutela nelle operazioni di risparmio; altra è l'inoperatività della stessa in operazioni non da risparmio. Un risparmiatore può impiegare i propri fondi anche per operazioni speculative e per operazioni di compartecipazione attiva a iniziative imprenditoriali: sono forme di impiego certamente legittime - salvo altri profili che si vedranno -, ma che non possono ricevere le guarentigie proprie delle operazioni di risparmio: d'altro canto diventano pacificamente illecite quando presentate artatamente e in modo non veritiero quali operazioni da risparmio.
La Suprema Corte ha quindi errato quando, dopo aver enucleato con nitidezza ed esattezza l'ambito della nullità contrattuale, riferito ai vizi strutturali dell'atto e non allo stato soggettivo delle parti e al comportamento attuativo, non ha individuato comportamenti sottratti all'iniziativa delle parti in quanto tali da deviare dal risparmio per rispondere a logiche incompatibili.
Occorre così elaborare giuridicamente il concetto di risparmio.
In primo luogo, è una ricostruzione che parte dal ruolo del risparmio, quale reddito non speso e destinato ad alimentare l'economia, e così fondamentale sia per la stessa economia nel suo complesso sia per assicurare dignitose condizioni economiche ai suoi titolari, il che rende la sua tutela imperativa e inderogabile, come già visto.
Ciò ribadito, occorre evidentemente ricostruire la sua essenza strutturale e la sua funzione.
In tale ottica, occorre individuare cosa appartiene al risparmio e cosa no.
Ciò per accertare sia quali investimenti siano oggettivamente incompatibili, sia quali comportamenti dei risparmiatori siano al di fuori dell'ambito del risparmio e al di fuori della tutela.
L'ultimo aspetto è particolarmente delicato in quanto sembrerebbe in contrasto con l'imperatività della tutela, che sembrerebbe richiedere la valutazione della sola oggettività delle operazioni, mentre il comportamento soggettivo dell'interessato richiama le sue scelte, il che sembrerebbe per l'appunto escludere l'imperatività della tutela.
Di qui l'orientamento, consolidato da circa 15 anni, della Corte di Cassazione, teso a ridurre drasticamente il campo d'azione della nullità, a favore della annullabilità per vizi del consenso del risparmiatore e della responsabilità contrattuale per inadempimento dell'intermediario.
Si deve però ribattere, in modo da mostrare la fallacia dell'apparenza, che il profilo soggettivo si atteggia in modo assai diverso nei due diversi ambiti: una cosa è rappresentata dall'oggettività e dall'imperatività della tutela nelle operazioni di risparmio; altra è l'inoperatività della stessa in operazioni non da risparmio. Un risparmiatore può impiegare i propri fondi anche per operazioni speculative e per operazioni di compartecipazione attiva a iniziative imprenditoriali: sono forme di impiego certamente legittime - salvo altri profili che si vedranno -, ma che non possono ricevere le guarentigie proprie delle operazioni di risparmio: d'altro canto diventano pacificamente illecite quando presentate artatamente e in modo non veritiero quali operazioni da risparmio.
La Suprema Corte ha quindi errato quando, dopo aver enucleato con nitidezza ed esattezza l'ambito della nullità contrattuale, riferito ai vizi strutturali dell'atto e non allo stato soggettivo delle parti e al comportamento attuativo, non ha individuato comportamenti sottratti all'iniziativa delle parti in quanto tali da deviare dal risparmio per rispondere a logiche incompatibili.
Occorre così elaborare giuridicamente il concetto di risparmio.
In secondo luogo, occorre enucleare il ruolo dell'intermediazione finanziaria in investimenti, vale a dire la sua idoneità a porsi al servizio sia del risparmio sia della speculazione sia della compartecipazione attiva a iniziative imprenditoriali, con il divieto di commistioni e di sacrificio di alcuna delle tre. Il ruolo multiforme dell'intermediazione finanziaria di investimenti non deve essere mai tale da incidere sul risparmio, la cui tutela imperativa - e assoluta, a differenza di quella degli altri due fattori economici - verrebbe altrimenti frustrata.
In terzo luogo, occorre fissare il rilievo civilistico della deviazione, rilievo civilistico consistente non nel danno subito in via assoluta, ma nella discordanza rispetto a quello che si sarebbe verificato in caso di investimenti leciti.
Il danno illecito è nell'abuso e non nel rendimento negativo.
Non vi è solo il problema del nesso causale, ma in via più radicale occorre individuare l'illecito quale violazione di comportamento medio da ipostatizzare quale unico ammissibile, in un'ottica tesa a consentire solo comportamenti razionali, vincolando il potere imprenditoriale a criteri di natura ottimale di per sé ad essa estranei.
Per concludere, le valutazioni sostanziali di merito tese a verificare la violazione dei criteri del risparmio non entrano nell'opportunità e nelle quantificazioni, ma si assestano all'accertamento dell'appropriazione di vantaggi del risparmio da parte dell'intermediario e/o della traslazione di rischi indebiti sul risparmio.
In tale ottica, l'aspetto quantitativo della soglia dell'abuso rileva non di per sé, entrando altrimenti nel merito dell'opportunità, ma solo quale individuazione della linea di discrimine tra lecito e illecito, in base a criteri strutturali e funzionali, relativi alla caratterizzazione intrinseca, quindi di natura qualitativa, rispetto a cui l'aspetto quantitativo è di mero completamento.
In terzo luogo, occorre fissare il rilievo civilistico della deviazione, rilievo civilistico consistente non nel danno subito in via assoluta, ma nella discordanza rispetto a quello che si sarebbe verificato in caso di investimenti leciti.
Il danno illecito è nell'abuso e non nel rendimento negativo.
Non vi è solo il problema del nesso causale, ma in via più radicale occorre individuare l'illecito quale violazione di comportamento medio da ipostatizzare quale unico ammissibile, in un'ottica tesa a consentire solo comportamenti razionali, vincolando il potere imprenditoriale a criteri di natura ottimale di per sé ad essa estranei.
Per concludere, le valutazioni sostanziali di merito tese a verificare la violazione dei criteri del risparmio non entrano nell'opportunità e nelle quantificazioni, ma si assestano all'accertamento dell'appropriazione di vantaggi del risparmio da parte dell'intermediario e/o della traslazione di rischi indebiti sul risparmio.
In tale ottica, l'aspetto quantitativo della soglia dell'abuso rileva non di per sé, entrando altrimenti nel merito dell'opportunità, ma solo quale individuazione della linea di discrimine tra lecito e illecito, in base a criteri strutturali e funzionali, relativi alla caratterizzazione intrinseca, quindi di natura qualitativa, rispetto a cui l'aspetto quantitativo è di mero completamento.