Cassazione, si scioglie il nodo sulla nullità selettiva

Luca Zitiello
Luca Zitiello
6.3.2020
Tempo di lettura: 3'
Una recente sentenza della Cassazione stabilisce un equilibrio virtuoso tra l'esigenza di protezione dell'investitore e il principio di buona fede relativo alla possibilità della nullità del contratto solo in riferimento a determinare operazioni




La Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza del 4 novembre 2019, n. 28.314, è finalmente intervenuta facendo chiarezza su una questione molto dibattuta e sentita nella prassi operativa che va sotto il nome di nullità selettiva.



Il giudice chiamato a decidere sugli effetti della nullità del contratto quadro può pronunciare la nullità delle sole operazioni in perdita invocate dal cliente oppure la nullità del rapporto travolge tutte le operazioni, sia positive che negative, poste in essere nel rapporto stesso dando luogo ad esiti molto diversi ai fini restitutori?




La Suprema Corte affronta la questione alla luce del particolare regime delle nullità di protezione al cui interno si colloca la nullità per difetto di forma del contratto quadro avente ad oggetto la prestazione di servizi di investimento di cui all'art. 23 Tuf, dal quale si ricava che la nullità può essere fatta valere in giudizio solo dal cliente.

La decisione si pone in scia della precedente sentenza delle Sezione Unite, la n. 898 del 2018, in cui si era riconosciuto che l'obbligo di forma scritta del contratto costituisce una garanzia informativa del cliente ed è uno strumento per superare lo squilibrio contrattuale e l'asimmetria informativa delle parti. Ma proprio sulla base della nullità relativa l'obbligo di forma scritta deve ritenersi assolto anche in caso di sottoscrizione del contratto quadro da parte del solo investitore (principio del contratto monofirma) al fine di evitare l'esercizio dell'azione di nullità in forma strumentale ed abusiva al fine di trarne ingiusti vantaggi.







Anche in questo caso emerge l'esigenza di contemperare due interessi primari. Da un lato la protezione dell'investitore nella sua veste di contraente debole, dall'altro impedire che l'esercizio dell'azione di nullità solo su alcuni ordini violi il principio di buona fede con uno sbilanciamento della tutela.

Nel tempo si erano affermate due interpretazioni alternative tra loro. Secondo una prima ricostruzione il regime di protezione si esaurisce nella legittimazione esclusiva del cliente a far valere la nullità del contratto per difetto di forma. Una volta però che sia stata dichiarata l'invalidità del contratto quadro, gli effetti restitutori possono essere fatti valer da entrambe le parti e quindi possono avere ad oggetto tutte le operazioni.

Secondo l'opinione contraria l'intermediario non può avvalersi della dichiarazione di nullità in relazione alle conseguenze restitutorie, in quanto il regime di protezione opera esclusivamente a favore del cliente, e dovrà quindi subire gli effetti della dichiarazione di nullità selettiva avente ad oggetto esclusivamente le operazioni sfavorevoli all'investitore.

Era poi emersa una terza via consistente nell'esperibilità da parte dell'intermediario della eccezione di correttezza e buona fede volta a bloccare l'azione di nullità delle sole operazioni sfavorevoli esercitata dal cliente. Questa tesi è stata però criticata per la sua assolutezza in quanto l'esercizio dell'eccezione finirebbe per paralizzare sempre l'azione di nullità selettiva.

Allo stesso modo è stata giudicata troppo discrezionale quella interpretazione che limitava l'esercizio dell'eccezione ad una valutazione di buona fede soggettiva nel caso concreto.







Il Collegio decide così di risolvere la questione della legittimità dell'uso selettivo delle nullità di protezione ricorrendo al principio di buona fede ancorato però ad un criterio dotato di oggettività che consenta l'attivazione di un parametro univoco e coerente.

Andranno quindi pertanto presi in considerazione tutti gli investimenti eseguiti per conto del cliente, raffrontando quelli oggetto dell'azione di nullità con quelli esclusi, per verificare se permanga in capo all'investitore un pregiudizio.

Qualora l'esito degli ordini non colpiti da nullità abbia prodotto un rendimento economico superiore al pregiudizio dedotto dall'investitore nell'azione di nullità selettiva, si ritiene che possa essere proposta l'eccezione di buona fede con effetto paralizzante della declaratoria di nullità delle operazioni selezionate al fine di non determinare un ingiustificato sacrificio economico in capo all'intermediario.

Qualora invece da detta comparazione persistesse per differenza un danno per il cliente, in quei limiti l'esercizio dell'azione di nullità non contrasterà con il principio di buona fede. Tradotto in termini concreti, nel caso in cui in un rapporto dichiarato nullo per difetto di forma del contratto abbia avuto ad oggetto 10 operazioni di cui 2 sfavorevoli al cliente con una minusvalenza di 70 e le altre 8 con un risultato positivo di 90, l'azione di nullità selettiva sulle due operazioni potrà essere bloccata dall'eccezione di buona fede allegata dall'intermediario.

Ove invece le due operazioni sfavorevoli avessero dato luogo ad una minusvalenza di 120, l'eccezione varrebbe nei limiti del risultato positivo di 90 e quindi gli effetti restitutori per il cliente sarebbero pari a 30.







La soluzione adottata dalla Sezione Unite, che io chiamo “del bilancino”, ha sicuramente il pregio di comporre un annoso dibattito. Sotto il profilo delle ricadute operative, è prevedibile che l'effetto di queste due pronunce, quello sul contratto monofirma e questa sulla nullità selettiva, sarà di ridurre l'impatto del contenzioso derivante dalla nullità dei contratti quadro aventi ad oggetto servizi di investimento evitando l'utilizzo strumentale dell'azione.



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Si è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Firenze. Nel 2006, ha fondato Zitiello Associati, studio specializzato nel diritto del mercato finanziario, bancario ed assicurativo.
Membro del Collegio dei Probiviri in AIPB, Assosim, Assofiduciaria ed Assilea, Luca Zitiello è iscritto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del Foro di Milano e ammesso a patrocinare di fronte alla Suprema Corte di Cassazione.

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