Arriva la "tregua fiscale": verso un'altra voluntary disclosure?

Roberta Moscaroli
Roberta Moscaroli
24.11.2022
Tempo di lettura: 3'
Il governo Meloni non ha escluso la possibilità di una riproposizione di misure di sanatoria simili a quelle varate tra il 2015 e il 2017 (cosiddette voluntary disclosure), allargate però questa volta alla regolarizzazione delle cripto-valute. Di cosa si tratta?

Il peso dell’economia sommersa 


L’evasione fiscale in Italia continua a rappresentare un’emergenza. Lo conferma la “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva – anno 2022”, approvata dall’apposita Commissione governativa lo scorso 19 settembre ed era già emerso con l’Annual report on taxation 2022, pubblicato dall’Unione europea il 28 giugno 2022. 


La “Relazione sull’economia non osservata”, in particolare, indica come, sulla base dei dati Istat e delle stime elaborate dall’Agenzia delle entrate e dal Dipartimento delle finanze, il sommerso economico italiano si attesti in 183,9 miliardi di euro (con un’incidenza sul Pil del 10,2%) e il tax gap risulti pari a circa 99,2 miliardi (dati riferiti all’anno 2019 ma che fotografano un trend consolidato). 


Similmente, l’Annual report dell’Unione europea stima, per l’Italia, un patrimonio nascosto di 227 miliardi di euro (dato riferito al 2018), con una corrispondente perdita di gettito per il Paese di oltre 10 miliardi di euro.

Verso nuove misure di regolarizzazione? 

 

Rispetto a numeri così eclatanti, il neo-insediato governo Meloni non ha escluso la possibilità di una riproposizione, anche nei prossimi mesi, di misure di sanatoria simili a quelle varate tra il 2015 e il 2017 (cosiddette voluntary disclosure), allargate però questa volta alla regolarizzazione delle cripto-valute.


Vediamo di cosa si tratta.


La regolarizzazione dei capitali illecitamente detenuti all’estero

 

In Italia, la “voluntary Ddsclosure” è stata normata per la prima volta sotto il governo Renzi, con la Legge 186/2014, successivamente modificata dal dl 153/2015. L’intervento legislativo ha riguardato un programma di emersione spontanea dei capitali detenuti illecitamente all’estero, attuato mediante opportuna modifica delle disposizioni sul monitoraggio fiscale di cui al dl 167/1990 (cosiddetta “voluntary internazionale”), ed un ulteriore programma di collaborazione volontaria nazionale (cosiddetta “voluntary nazionale”).


In questa sua prima “edizione”, la voluntary è stata concepita come procedura di carattere straordinario, avente lo scopo di promuovere la collaborazione volontaria del contribuente per la “riparazione” delle infedeltà dichiarative passate ma anche finalizzata ad avviare un rapporto di trasparenza col fisco.


La voluntary del 2015, infatti, è stata costruita in modo tale da consentire al contribuente di definire la propria posizione fiscale pregressa sulla base dell’instaurazione di un rapporto con l’Agenzia delle entrate informato ai princìpi della spontaneità, della completezza e della veridicità. In altri termini, se la “cifra” dei passati “scudi fiscali” (2001-2002, 2009-2010) era stata l’anonimato, la regolarizzazione spontanea del 2015 era informata invece alla più rigorosa trasparenza, in modo da promuovere la futura compliance del contribuente.


Da un punto di vista procedimentale, la voluntary del 2015 si basava sull’invio, all’Agenzia, di un’istanza corredata da apposita documentazione, nella quale il contribuente illustrava l’ammontare dei redditi e delle consistenze estere sottratte a tassazione e/o a monitoraggio fiscale (indicandone altresì la genesi) e apriva in tal modo un contraddittorio con l’Agenzia stessa. Il procedimento si concludeva con l’emanazione, da parte di quest’ultima, di un invito al contraddittorio (art.5 del d.lgs. n. 218/1997, relativo alle maggiori imposte accertate) e/o di un atto di contestazione delle sanzioni (art.16 del d.lgs. n. 472/1997, relativo alle sanzioni irrogate per le violazioni connesse alla mancata o errata compilazione del quadro Rw), che il contribuente poteva definire in modo agevolato.


In termini pratici, l’adesione all’invito e/o all’atto di contestazione implicava il pagamento delle maggiori imposte accertate e dei relativi interessi (per intero) ma anche la possibilità di beneficiare di una significativa riduzione delle sanzioni dovute, essendo queste ultime ridotte del 25 o del 50% rispetto ai minimi edittali (in funzione delle diverse tipologie di violazione e/o della destinazione del patrimonio dopo la procedura) e ulteriormente ridotte a un sesto o a un terzo per effetto dell’adesione, rispettivamente, all’invito o dell’atto di contestazione.


La procedura, infine, prevedeva che nei confronti di colui che prestasse la collaborazione volontaria fosse esclusa la punibilità per i reati tributari e di autoriciclaggio riferiti alle fattispecie regolarizzate: previsioni, queste ultime, indispensabili per qualsiasi possibilità di successo della procedura stessa.

 

La voluntary del 2015 ha inciso in modo importante sul rientro dei capitali dall’estero (che hanno determinato maggiori entrate erariali per circa 4 miliardi di euro) riportando invece un minore successo sul fronte della regolarizzazione “interna”. Infatti, mentre i capitali detenuti offshore erano (sono) “tracciabili” in quanto depositati presso intermediari, gli illeciti nazionali erano (sono) tipicamente associati alla presenza del contante (il “nero”) e la relativa disclosure ha posto problemi relativi alla dimostrazione della provenienza e del periodo di formazione del denaro, con conseguente riflesso sui costi della definizione e sull’ammissibilità stessa della procedura.


La regolarizzazione del contante 


A fine 2016, il governo Renzi ha deciso di emanare una nuova “edizione” della voluntary (cosiddetta “voluntary disclosure bis”), poi effettivamente recata e disciplinata dall’art.7 del dl. n.193/2016 e dal successivo dl. n. 50/2017.


Rispetto alla prima “edizione”, la voluntary-bis si è diversamente “posizionata” rispetto a due profili centrali: quello procedimentale, prevedendosi questa volta che la regolarizzazione avvenisse sulla base di un procedimento di autoliquidazione delle imposte e delle sanzioni effettuato direttamente dal contribuente (salva la possibilità di richiedere all’Agenzia delle entrate l’attivazione di un procedimento del tutto analogo a quello già previsto in occasione della prima voluntary), e soprattutto quello dell’individuazione di una più semplice modalità di regolarizzazione del contante


Soffermandosi sul secondo dei profili menzionati, si rileva, infatti, che, ai sensi della novellata disciplina, in caso di disclosure avente ad oggetto contanti o valori al portatore, il contribuente avrebbe (semplicemente) dovuto dichiarare che detti valori non derivassero da reati diversi da quelli tributari e di autoriciclaggio “coperti” dalla voluntary e provvedere, entro la data di presentazione dei documenti all’Agenzia, all’apertura di eventuali cassette di sicurezza nelle quali i valori in oggetto fossero stati custoditi, alla presenza di un notaio. Il contante e i valori al portatore così inventariati avrebbero quindi dovuto essere depositati presso un intermediario finanziario abilitato, in un rapporto vincolato fino alla conclusione della procedura. 


Sotto il profilo sostanziale (e dei costi della definizione), inoltre, la regolarizzazione del contante e dei valori al portatore veniva resa più “accessibile” dalla presunzione, salva prova contraria, che gli stessi beni (e cioè contante e valori al portatore) derivassero da redditi conseguiti a seguito di violazioni degli obblighi dichiarativi commesse negli ultimi cinque anni, con ciò mitigando l’impatto della tassazione marginale applicabile per il caso, diverso, di riferimento delle somme ad un numero inferiore di periodi d’imposta. La voluntary-bis ha prodotto un ulteriore gettito fiscale di poco inferiore al miliardo di euro.


Il dibattito attuale 

 

Come accennato in premessa, in questi giorni si è tornati a parlare in modo insistente della possibilità di un nuovo programma di voluntary, che, secondo alcune prime indicazioni di esponenti governativi, potrebbe riprendere le modalità operative delle precedenti edizioni, aggiungendo tuttavia regole specifiche per la regolarizzazione delle criptovalute. 


Relativamente alla riproposizione delle regole sulla voluntary, ci si limita a osservare che, affinché il programma di emersione possa incontrare successo è fondamentale prevederne la copertura penale (così come avvenuto in passato), la quale, tuttavia, al momento sembra rappresentare la scelta più controversa, e che inoltre potrebbero valutarsi nuove disposizioni sulla regolarizzazione del contante, eventualmente introducendo più stringenti obblighi di impiego delle somme regolarizzate. 

 

Con riferimento alle criptovalute, invece, il problema è più complesso. Le criptovalute, infatti, rappresentano un sistema di pagamento decentralizzato, basato su una rete di soggetti paritari (peer to peer) e non soggetto ad alcuna disciplina regolamentare specifica né a un’Autorità centrale (si veda la ricostruzione operata dall’Agenzia delle entrate nella risoluzione 72/E/2016). L’emersione e la regolarizzazione di tale tipologia di asset, pertanto, presuppone che ne siano preliminarmente verificati e gestiti i profili regolamentari, mentre per la relativa regolarizzazione fiscale potranno essere invocate le tradizionali categorie del Tuir.

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È partner dello studio legale Dentons, nella sede di Roma. Dottore commercialista e
revisore contabile, si occupa di fiscalità a 360°, pianificazione fiscale, tax ruling e
interpelli, private wealth management, fiscalità dei trust, piani di incentivazione, fiscalità
delle banche, delle assicurazioni e dei Ias/Ifrs Adopter. Segue procedimenti di voluntary
disclosure e patent box.

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