Una holding di famiglia può rendere più fluido il passaggio generazionale

Laura Magna
Laura Magna
20.9.2021
Tempo di lettura: 5'
Le imprese familiari sono l'85% del totale nel nostro Paese. Ma solo un terzo resiste al terzo passaggio generazionale. Le ragioni risiedono sostanzialmente nella mancanza di visione e programmazione. Eppure ci sono strumenti capaci di proteggere il patrimonio aziendale e quello familiare. Come la holding – con o senza il supporto di un trust: ne abbiamo parlato con Andrea Vasapolli, partner dello studio di consulenza legale e tributaria Vasapolli Associati
Una holding – con o senza il supporto di un trust – è un valido strumento per facilitare il passaggio generazionale nelle imprese. Ne abbiamo parlato con Andrea Vasapolli, partner dello studio di consulenza legale e tributaria Vasapolli Associati.

L'85% delle aziende italiane è a carattere familiare


Il tema del passaggio generazionale in un Paese dove la maggior parte delle imprese è di tipo familiare (secondo Aidaf, ha questa caratteristica l'85% delle nostre aziende, in linea con Francia (80%), Germania (90%), Spagna (83%) e Regno Unito). Mentre l'elemento differenziante rispetto a questi paesi è rappresentato dal minor ricorso a manager esterni da parte delle famiglie imprenditoriali: il 66% delle aziende familiari italiane ha tutto il management composto da componenti della famiglia, mentre in Francia questa situazione si riscontra nel 26% delle aziende familiari ed in Regno Unito solo nel 10%.
Anche a causa di questa apertura Solo un terzo delle imprese familiari sopravvive alla terza generazione: un dato che non può essere trascurato e che causa una perdita di valore importante. Perché le imprese a proprietà familiare creano occupazione (+20,1% negli ultimi sei anni), crescono più delle altre tipologie di aziende (+47,2% negli ultimi dieci anni, contro il 37,8% delle altre imprese), registrano una redditività più alta (ROI del 2016 al 9,1% contro il 7,9%) e hanno un rapporto di indebitamento più basso.

... ma solo un terzo resiste al terzo passaggio generazionale


“Le cause sono diverse e concorrono a creare il problema – dice Vasapolli - La cultura della dimensione familiare dell'impresa non ne aiuta la crescita dimensionale e non favorisce la crescita professionale interna di dipendenti che potrebbero assumere ruoli dirigenziali. Al tempo stesso tale cultura porta a credere che il socio, magari di seconda o terza generazione, debba necessariamente essere anche il gestore dell'impresa, mentre spesso non ne ha le capacità. Anche nelle imprese medio piccole bisognerebbe saper separare la proprietà del capitale dalla gestione dell'impresa, che ben può essere affidata a un manager che non necessariamente deve essere un socio, o che può diventarlo solo di minoranza. Infine, la mancata pianificazione del passaggio generazionale spesso lascia il capitale delle imprese in balia di dissidi tra eredi, con effetti nefasti”.

Eredità patrimoniale ed eredità manageriale


Il problema del passaggio generazionale nelle PMI deve essere affrontato su due livelli, uno interno, di tipo manageriale, l'altro esterno, e afferisce alle modalità di trasmissione del capitale.
“Per quanto riguarda il piano interno – continua l'avvocato - è necessario che l'imprenditore (spesso fondatore dell'impresa) si ponga per tempo il problema della sua successione nell'attività gestoria, senza pensare che necessariamente i suoi discendenti saranno all'altezza di tale ruolo. È quindi necessario investire sulla crescita interna dei dipendenti, accettando l'inefficienza della delega (nessuno farà mai così bene come avrebbe fatto l'imprenditore in prima persona) per creare quell'ossatura manageriale che potrà subentrare al momento necessario, magari in affiancamento ai discendenti”.
Al tempo stesso è necessario porsi il problema della trasmissione agli eredi del capitale sociale, “facendosi accompagnare da un consulente esperto, perché sono molteplici gli strumenti che è possibile utilizzare a fronte delle tante problematiche che il passaggio generazionale presenta, ad esempio per mitigare gli effetti negativi di eventuali disaccordi tra i discendenti, ovvero per garantire ad essi una partecipazione equilibrata al patrimonio senza, tuttavia, che tutti abbiano uguali poteri decisionali”.

Holding o trust?


I principali strumenti utili ad affrontare un passaggio efficiente sono due: la creazione di una holding o un trust: “e sovente le soluzioni successorie più efficaci le si ottiene utilizzando congiuntamente tali strumenti, che sono tra loro complementari e assolvono a funzioni solo in parte sovrapponibili. In entrambi i casi si tratta di strumenti efficienti anche dal punto di vista della pianificazione fiscale”.
Va fatta una distinzione in base alle tipologie societarie: in particolare distinguendo tra società di capitali e società di persone, così come tra società commerciali e società semplice, sia dal punto di vista della regolamentazione degli accadimenti della vita societaria sia dal punto di vista fiscale; bisogna quindi scegliere di volta in volta lo strumento societario che meglio risolve le specifiche esigenze.

Strumenti per conservare il patrimonio (ed evitare liti)


“In ogni caso – chiosa Vasapolli - sia il trust che la holding consentono di mantenere unitario il patrimonio familiare, altrimenti destinato a frazionarsi sempre di più ad ogni passaggio generazionale; di allontanare eventuali conflitti tra gli eredi dalle società operative, portandoli ad un livello “superiore”; di definire regole di governance del patrimonio familiare, con le quali è possibile distinguere tra poteri di gestione dello stesso, che possono essere limitati solo a taluni, e diritti di goderne, che invece possono spettare pro quota a tutti gli eredi”.
Il trust, in aggiunta, consente non solo di attribuire i frutti che provengono dal patrimonio (i dividendi dell'impresa caduta in successione) ai beneficiari, ma anche di impiegarli direttamente nel loro interesse, cosa che la holding non permette. “Ciò consente di risolvere i problemi che si pongono quando un erede è un soggetto debole, ovvero è troppo giovane per ricevere, ovvero ancora non è in grado di gestire con oculatezza. Il patrimonio segregato in trust, inoltre, è sottratto al rischio di future aggressioni da parte di terzi”, conclude Vasapolli.
Giornalista professionista dal 2002, una laurea in Scienze della Comunicazione con una tesi sull'intelligenza artificiale e un master della Luiss in Giornalismo e Comunicazione di Impresa. Scrivo di macroeconomia, mercato italiano e globale, investimenti e risparmio gestito, storie di aziende. Ho lavorato per Il Mattino di Napoli; RaiNews24 e la Reuters a Roma; poi Borsa&Finanza, il Mondo e Plus24 a Milano. Oggi mi occupo del coordinamento del Magazine We Wealth (e di quello di tre figli tra infanzia e adolescenza). Collaboro anche con MF Milano Finanza.

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