Holiday home all'estero, le variabili da considerare

Francesco Nobili
Francesco Nobili
19.6.2019
Tempo di lettura: 3'
Quando un italiano vuole comprare una holiday home all'estero, la variabile fiscale applicata nei vari Paesi può fare la differenza. Ecco tutte le imposte da considerare per una scelta oculata
Quali sono le variabili da considerare quando un italiano vuole comprare una holiday home all'estero? Oltre alla piacevolezza del luogo, alla valorizzazione dell'investimento, ai rischi geopolitici e ai costi di mantenimento e manutenzione, anche la variabile fiscale può influenzare la scelta. Infatti si devono considerare non solo le imposte italiane ma anche quelle applicabili nel Paese dell'investimento.

Un primo costo è rappresentato dalle imposte indirette (analoghe all'imposta di registro o all'Iva italiana) che in genere sono a carico dell'acquirente. Ad esempio, in Francia è applicabile una tassa pari al 5,8% del prezzo/valore di mercato.
Può anche capitare che l'immobile sia detenuto da una società (ad esempio, immobile in Francia detenuto da una società francese) e che il venditore, per ragioni fiscali, preferisca vendere la società e non l'immobile. In tal caso, le imposte indirette sull'acquisto potrebbero essere inferiori ma l'acquirente italiano si troverebbe poi a detenere una società e non direttamente l'immobile, con le conseguenti complicazioni del caso. Si devono poi considerare anche le tasse annuali e non una tantum applicabili sull'immobile.
A questo proposito occorre segnalare che: in alcuni Stati l'immobile è tassato anche se non è affittato ma è utilizzato direttamente dall'investitore italiano; anche l'Italia tassa l'immobile estero accordando però un credito per le imposte pagate all'estero.

Si devono poi considerare le imposte (sia italiane che estere) sull'eventuale capital gain che l'investitore italiano realizzerà in caso di rivendita. Ad esempio, se un soggetto italiano vende un immobile in Spagna il capital gain è tassato con l'aliquota del 19%.
A questo proposito si segnala che il capital gain realizzato da una persona fisica italiana sulla vendita di un immobile estero detenuto da più di cinque anni non è tassato in Italia. È questo uno dei motivi per i quali la detenzione diretta dell'immobile estero da parte di una persona fisica può risultare preferibile rispetto alla detenzione tramite una società italiana (che se realizza un capital gain è ordinariamente tassata). Tra l'altro, una società italiana che detiene un immobile (in Italia o all'estero) è soggetta alla disciplina delle cosiddette società di comodo, che devono dichiarare un reddito minimo anche se l'immobile non è affittato.

Un aspetto spesso trascurato è rappresentato dall'imposta di successione. Quasi tutti i Paesi, infatti, assoggettano a tale imposta gli immobili ivi situati, anche se detenuti da non residenti.
Inoltre, le aliquote dell'imposta di successione applicabili nei Paesi esteri sono in genere sensibilmente superiori a quella italiana e possono anche raggiungere il 40/45% (al contrario, in Italia nei passaggi tra genitori e figli è applicabile l'aliquota del 4% con una franchigia di un milione di Euro per ciascun figlio).
Spesso la base imponibile non è rappresentata come per gli immobili italiani dal valore catastale ma dal (più elevato) valore di mercato. Il carico fiscale può quindi essere molto oneroso.

Le variabili sono dunque numerose e una scelta oculata non può prescindere da un attento esame di queste ultime.

 
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Laureato in Economia aziendale con il massimo dei voti presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano, dal 1990 svolge l’attività presso lo studio Biscozzi Nobili, in qualità di socio dal 1995. È specializzato in aspetti fiscali e societari relativi alle operazioni nazionali e internazionali di riorganizzazione aziendale e alla successione d’azienda. È autore di diverse pubblicazioni e relatore a vari convegni. Fa parte dei gruppi "Fisco" e "Fisco internazionale" di Confindustria..

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