Dividendi esteri: la Cassazione riconosce il credito d’imposta

Marco Sandoli
7.11.2022
Tempo di lettura: 5'
Una recente sentenza della Cassazione rivoluziona il sistema di tassazione dei dividendi di fonte estera, come finora interpretato dall’Agenzia delle entrate. Cosa può fare il contribuente che intende beneficiare del credito per le imposte estere?

Secondo la recente sentenza della Cassazione n. 25698 depositata il 1° settembre 2022, le persone fisiche fiscalmente residenti in Italia che percepiscono dividendi da società residenti in gran parte degli Stati con cui è in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni potrebbero beneficiare del credito per le imposte pagate all’estero.

Tale importante arresto giurisprudenziale, ove si consolidasse, rivoluzionerebbe il sistema di tassazione dei dividendi di fonte estere, come finora interpretato dall’Agenzia delle entrate.


L'orientamento dell'Agenzia delle Entrate

Secondo, infatti, il vigente orientamento dell’Agenzia delle entrate (ex pluribus, principio di diritto n. 15/2019), le persone fisiche che percepiscono dividendi di fonte estera, dopo aver subito la ritenuta alla fonte nel Paese estero, sono soggette nuovamente a tassazione in Italia con aliquota del 26% (con ritenuta alla fonte nel caso di incasso tramite intermediario o imposta sostitutiva in assenza di intermediario), applicata sul cosiddetto “netto frontiera” ove i dividendi siano incassati tramite un intermediario residente, ovvero sull’importo al lordo della ritenuta nel caso di dividendo percepito senza l’intervento di un intermediario. In ogni caso, senza possibilità di scomputare dall’imposta italiana la ritenuta subita all’estero, determinando in tal modo una sostanziale doppia imposizione, solo parzialmente attenuata nel caso di applicazione dell’imposta italiana sul cosiddetto “netto frontiera”.


La pronuncia della Corte di Cassazione

Secondo la Corte di Cassazione (la quale si è pronunciata su dividendi distribuiti da una società residente in Usa), tale assetto è in contrasto con la maggior parte delle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia (quelle più datate, ad esempio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Belgio, Lussemburgo Paesi Bassi, Svizzera, Usa). Tali convenzioni, dopo aver previsto che l’Italia deve dedurre dalle imposte sul reddito l’imposta pagata all’estero, stabiliscono che nessuna deduzione è accordata qualora l’elemento di reddito sia assoggettato a imposizione in Italia mediante ritenuta a titolo d’imposta (ciò vale anche nel caso di imposta sostitutiva) “su richiesta del beneficiario” di detto reddito in base alla legislazione italiana, facoltà che però non è più riconosciuta dall’ordinamento nazionale ormai dal 2004. Da una lettura a contrario si ricava, secondo la corte, che qualora l’assoggettamento del reddito estero mediante ritenuta o imposta sostitutiva avvenga, come oggi, non “su richiesta del beneficiario”, ma obbligatoriamente, la ritenuta applicata all’estero deve considerarsi detraibile.

Diversamente, nelle convenzioni più recenti dove la locuzione è stata modificata aggiungendo “anche” prima di “su richiesta del beneficiario” (ad esempio, Arabia Saudita, Cipro, Corea, Filippine, Singapore, Hong Kong), ovvero nelle convenzioni dove la locuzione “su richiesta del beneficiario” è stata sostituita da “su richiesta o meno del beneficiario” (ad esempio, Cile, Giamaica, Colombia), il credito d’imposta non sarebbe utilizzabile.


Secondo la Corte, proprio la modifica inserita nel testo delle convenzioni più recenti rivelerebbe che quando l'Italia ha voluto escludere la fruizione del credito d’imposta in tutti i casi (quindi anche quando la ritenuta a titolo d’imposta o l’imposta sostitutiva è obbligatoria) lo ha previsto espressamente.


Il principio enunciato dalla Corte va accolto con favore in quanto, ove recepito dall’Agenzia delle entrate, consentirebbe di superare la doppia imposizione derivante dall’attuale prassi interpretativa.


Il carico impositivo

Si veda il carico impositivo complessivo nelle diverse ipotesi:




Cosa può fare il contribuente che intende beneficiare del credito per le imposte estere

Essendo al momento poco verosimile che tale apprezzabile arresto giurisprudenziale sia recepito in tempi brevi dall’Agenzia delle entrate (la quale, lo ricordiamo, ha impiegato quasi 15 anni prima di fare proprio con la recentissima circolare n. 34 l’orientamento giurisprudenziale sull’applicabilità della tassa di successione e donazione al trust al momento della devoluzione dei beni ai beneficiari), per il contribuente che intenda beneficiare del credito per le imposte estere potrebbe prospettarsi la via dell’istanza di rimborso e successiva impugnazione del probabile silenzio-diniego dell’Agenzia delle Entrate.


Opinione personale dell’autore
Il presente articolo costituisce e riflette un’opinione e una valutazione personale esclusiva del suo Autore; esso non sostituisce e non si può ritenere equiparabile in alcun modo a una consulenza professionale sul tema oggetto dell'articolo.
WeWealth esercita sugli articoli presenti sul Sito un controllo esclusivamente formale; pertanto, WeWealth non garantisce in alcun modo la loro veridicità e/o accuratezza, e non potrà in alcun modo essere ritenuta responsabile delle opinioni e/o dei contenuti espressi negli articoli dagli Autori e/o delle conseguenze che potrebbero derivare dall’osservare le indicazioni ivi rappresentate.
Avvocato e partner di Di Tanno Associati, Marco Sandoli vanta una consolidata esperienza nella fiscalità internazionale, d’impresa e contenzioso. Le sue aree di specializzazione comprendono: fiscalità dei fondi di investimento, operazioni di finanza straordinaria, venture capital, fiscalità dei patrimoni individuali (Hnwi) e protezione patrimoniale. È componente del collegio sindacale di società industriali e intermediari finanziari e membro della commissione Tax&Legal dell’Aifi e dell’Osservatorio pmi Euronext.

Cosa vorresti fare?