Una cura per la fragile governance dell'azienda del cristallo

Laura Magna
Laura Magna
17.2.2022
Tempo di lettura: 5'
A ottobre 2021 quello che potrebbe essere l'ultimo ceo di famiglia per Swarovski, una fabbrica che è anche un simbolo dell'Austria, si è dimesso. Al suo posto sta coprendo il ruolo ad interim Michele Molon, veronese, ex responsabile della strategia omnicanale. Ma è maretta nella dirigenza, dove a 125 anni dalla fondazione regna ancora la famiglia in un sistema decisionale complesso che va rinnovato
Un ceo italiano per Swarovski. Si tratta di Michele Molon, veronese ex responsabile della strategia Omnichannel che nel 2019 aveva inaugurato il nuovo corso digital del brand. Lo ha annunciato lui stesso sulla sua pagina LinkedIn: per ora ricopre il ruolo ad interim ma non è escluso che possa venire confermato quando nel 2022 la famiglia voterà per il suo primo amministratore esterno. Una rivoluzione, che nasce però in un clima di tensione. Inevitabile perché la dinastia dei cristalli simbolo dell'Austria si è ampliata a dismisura e, giunta alla quinta generazione, conta 200 membri. Difficile mettere d'accordo tutti: la governance è da sempre complessa, ma la svolta annunciata via social dagli stessi vertici del gruppo potrebbe essere vicina.
La dinastia Swarovski ha oltre 120 anni di storia, che gli è valsa la partecipazione all'associazione Hénokiens delle imprese millenarie.
Tutto inizia a Wattens, un villaggio di 8mila abitanti nelle Alpi sudtirolesi, a circa 20 km da Innsbruck. Nel 1895 un artigiano boemo, di nome Daniel Swarovski, fonda una piccola bottega per lavorare cristalli, scegliendo un luogo abbastanza distante dalla sua terra – popolata da una concorrenza feroce nel settore – e ricco di salti idrici per alimentare le sue macchine. L'idea di Daniel era quella di rendere il prezioso cristallo di Boemia accessibile a tuti: per questo brevetta una macchina da taglio elettrica che realizza la lavorazione con precisione e a costo più basso.
Il gruppo Swarovski oggi, oltre al cuore del Crystal Business, comprende Swarovski Optik, fondata nel 1949 da Wilhelm Swarovski, che, per assecondare la sua passione per l'astronomia, ha pensato di applicare alla produzione di binocoli la stessa tecnologia utilizzata per la realizzazione e finitura dei cristalli per gioielli. Nel 2020 ha fatturato 163 milioni. E Tyrolit (593 milioni i ricavi 2020), che produce macchine per la levigatura e la lucidatura. Un'altra innovazione che arriva direttamente dal genio del capostipite Daniel. Parliamo dunque di una conglomerata che fa molto più che gioielli (anche se i gioielli rappresentano la gran parte del fatturato).
La vera consacrazione e l'ingresso nel Gotha globale del fashion di un marchio che fino a quel momento era stato per lo più tecnico, avviene solo nel 1956, l'anno della morte di Daniel, quando Dior utilizza i cristalli Swarovski sugli abiti della sua collezione. L'azienda è poi passata di padre in figlio decennio dopo decennio, ma ha subito una grande accelerazione solo con Gernot Langes-Swarovski, nipote del secondogenito di Daniel, Alfred. Fra gli anni Settanta e Ottanta Gernot ha infatti iniziato l'internazionalizzazione del gruppo, aprendo una boutique anche a New York.
Swarovski è un colosso di matrice familiare, una famiglia dove però, dicevamo, non regna più l'armonia. Le cronache raccontano di feroci litigi culminati quando Markus Langes- Swarovski, figlio di Gernot (che è venuto a mancare a inizio 2021), ha ceduto il ruolo di ceo - che occupava dal 2002 - al cugino di secondo grado Robert Buchbauer, fino a quel momento capo della divisione consumer goods.
Era il marzo 2020: mentre il Covid impazzava, Buchbauer, supportato dall'80% degli azionisti, ha provato a cambiare il corso dell'azienda. Dicendo addio ai prodotti mass market, che soffrono da anni la concorrenza dei cristalli low cost che arrivano da Cina ed Egitto, e puntando sul lusso estremo. Per effetto della strategia e del Covid il fatturato dei cristalli, che nel 2019 era ammontato a 2,7 miliardi, ha perso circa il 35% nel 2020. Ma la strategia avrebbe dovuto, entro il 2023, concretizzarsi con il taglio di 6mila dei circa 32mila posti di lavoro del gruppo, di cui 1800 nell'headquarter di Wattens e la chiusura di 750 dei 3mila negozi disseminati in 170 Paesi in tutto il mondo. Per la città di Wattens sarebbe stato un disastro contro cui lo stesso sindaco Thomas Oberbeirsteiner si era espresso. In solidarietà delle famiglie che perderanno il lavoro ma anche delle casse della città, che avrebbe dovuto ripianificare le spese per le opere pubbliche. Wattens vive d'altronde della ricchezza creata da Swarovski: la sua attrazione principale è il KrystallWelten, un museo dei cristalli dove in 16 camere sotterranee artisti di fama mondiale interpretano il cristallo in modi diversi. Inaugurato sempre da Gernot nel 1995 ha portato nella città 15 milioni di visitatori da ogni angolo del mondo (e nel periodo dei lockdown ha chiuso depauperando già il bilancio pubblico).
È qualcosa che ha fatto infuriare l'altro ramo della famiglia nel board (i cugini di Buchbauer, Nadja, Helmut, Gerhard e Paul Swarovski), che gli hanno dichiarato guerra: e per ora hanno vinto.
D'altronde l'obiettivo originale di Daniel Swarovski era quello di rendere il cristallo prezioso alla portata di tutti. Nel 2013, in ossequio al sogno del fondatore, è stata creata la Fondazione Swarovski, per restituire alla comunità che lo aveva accolto, supportando progetti di beneficenza per promuovere la cultura e la creatività, il benessere e i diritti umani e conservare le risorse naturali. Il progetto di Buchbauer doveva sembrare troppo distante da questi valori. Dopo le sue dimissioni tuttavia ha lasciato il board anche Nadja Swarosvki, personalità forte e unica donna nella dirigenza fino a quel momento, che resta coinvolta nella Fondazione.
Cosa avverrà nel futuro? Difficile dirlo. Se dovesse essere confermato Molon alla guida qualche indizio si può rintracciare nel fatto che è stato a lungo braccio destro di Buchbauer quando quest'ultimo era alla guida della divisione consumer goods. “Le regole classiche del retail sono superate, occorre andare oltre, attraverso innovazioni che si intrecciano con il digital”, così nel 2019, appena prima che il Covid 19 sparigliasse nuovamente le carte sul tavolo. La rivoluzione di Molon parte dall'idea di punto vendita: il prototipo è il concept Crystal Studio, il primo aperto a Milano due anni fa e firmato Patricia Urquiola, e poi replicato a Parigi, Pechino, Shanghai e Londra.
“Quando abbiamo sviluppato questo concept store, abbiamo cercato di apprendere il più possibile dai nostri consumatori e di far fronte alle loro esigenze. Dagli schermi digitali che soddisfano i clienti che desiderano selezionare rapidamente i prodotti, allo Sparkle Bar, dove i consumatori possono divertirsi a provare i prodotti per tutto il tempo che desiderano, pensiamo di aver creato un'esperienza in-store memorabile per tutti”. Chissà cosa ne pensa la famiglia.
(Articolo pubblicato sul Magazine We Wealth, numero di febbraio)
Giornalista professionista dal 2002, una laurea in Scienze della Comunicazione con una tesi sull'intelligenza artificiale e un master della Luiss in Giornalismo e Comunicazione di Impresa. Scrivo di macroeconomia, mercato italiano e globale, investimenti e risparmio gestito, storie di aziende. Ho lavorato per Il Mattino di Napoli; RaiNews24 e la Reuters a Roma; poi Borsa&Finanza, il Mondo e Plus24 a Milano. Oggi mi occupo del coordinamento del Magazine We Wealth (e di quello di tre figli tra infanzia e adolescenza). Collaboro anche con MF Milano Finanza.

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