Un hub di investimento per alimentare le filiere industriali

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Simone Strocchi, fondatore e Presidente di Electa, racconta a We Wealth la sua soluzione di finanza industriale: un ecosistema di investimento nazionale a favore delle imprese italiane, con una Borsa trainante. Ecco come funziona

Può una finanza meramente speculativa dare alle imprese italiane, di piccole e medie dimensioni, le risorse per sviluppare nuovi servizi e prodotti ed espandersi su nuovi mercati con un’ottica di lungo periodo? Facile immaginare una risposta negativa a questa domanda retorica. Più articolato, invece, capire che tipo di finanza deve essere quella che aiuta le imprese italiane a crescere attingendo all’ingente patrimonio del risparmio italiano. Simone Strocchi, fondatore e Presidente di Electa, specializzata in deal structuring e investimenti in capitale costruttivo, con operazioni come le quotazioni di Sesa, Digital Value, Pharmanutra e Italian Wine Brands, spiega a We Wealth la sua soluzione di finanza industriale: creare un ecosistema di investimento nazionale a favore delle imprese con una borsa trainante.

In poche parole, combinare fondi e club deal per stimolare hub di investimento su settori e filiere per la crescita delle imprese. Dal 2012 Strocchi è stato un pioniere con le Spac (Special purpose acquisition company) e “pre-booking companies” in Italia, focalizzate su pmi di eccellenza, evolvendo il modello con Ipo Challenger per renderlo sempre più dinamico fino ad introdurre il ruolo dell’anchor investor. In questo senso ha dato vita nel 2017 al feeder fund Ipo Club insieme ad Azimut. “La quotazione in Borsa che favorisce l’ingresso di investitori value aggregati da formule di pre-book e pre-Ipo, con promotori specializzati affiancati da cornerstone investor, può accelerare lo sviluppo delle pmi italiane", sostiene Strocchi. Un ampio ecosistema di player come fondi specializzati, Eltif, holding di partecipazione e, in generale, soggetti non pressati da esigenze di liquidità come i fondi Ucits, "può fare la differenza nei momenti di incertezza - continua il manager - È tramontata l’era in cui erano le banche a finanziare lo sviluppo delle imprese. E non è neanche più il tempo per le imprese di aprire il capitale ai private equity (PE) che operano solo con schemi di Lbo (leverage buy out), portando debito a carico di società operative. Oggi si vedono deal privati con moltiplicatori molto più elevati rispetto a quelli che esprimono il valore delle società quotate". Che esista una differenza è fisiologico, poiché si deve tenere conto del valore intrinseco dei patti di governance ed exit, imprescindibili per il PE, che deve portare il raffronto con il prezzo di Opa teorica e non quello di trading delle quotate. "Quello che preoccupa - puntualizza Strocchi - è che, invece di normali divari del 20- 30%, oggi si vedano gap anche di oltre il 50-60% nello stesso settore. 


Questo vuol dire che la Borsa sta scontando una tempesta finanziaria che prescinde dai fondamentali delle imprese ed è accelerata dalla ricerca di liquidità dei fondi Ucits. E, infatti, il capitale monocratico in questo periodo fa shopping in Borsa e si vedono crescere operazioni di delisting, spesso opportunità di investimento nel controllo di aziende interessanti e a valori più economici". La quotazione in Borsa resta tuttavia la soluzione per le pmi che vogliono espandersi nel lungo termine. "Il sostegno da parte dei mercati azionari dei progetti di crescita aziendale avviene senza leva debitoria e non impone all’imprenditore accordi parasociali con clausole di drag e tag along tipiche dei PE - continua Strocchi - e che possono portare all’obbligo di cedere anche tutta la partecipazione". Inoltre, sono pochi gli operatori italiani di PE con fondi superiori al miliardo di euro: la maggior parte è sotto i 500 milioni con focalizzazione su pmi. Così, in assenza di un sistema trasversale alimentato da risparmio italiano, si creano le condizioni perché operatori internazionali di maggiori dimensioni possano fare shopping, portandosi a casa nel tempo i nostri campioni d’impresa. "Un ultimo argomento a favore della quotazione è che in Borsa non è necessaria una partecipazione del 50% + 1 azione per mantenere la capacità di indirizzo strategico. Insomma, vedo ancora molto potenziale nelle quotazioni - conclude Strocchi - se accompagnate da specialisti e sostenute da investitori adeguati in un contesto stimolato a livello sistemico: una minore burocrazia, un numero maggiore e frazionato di investitori nazionali di lungo periodo e aspetti fiscali più competitivi a livello globale sono necessari”.

(articolo tratto dal magazine we wealth di novembre)

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