Startup: acceleratore o incubatore? Ecco a chi rivolgersi

30.8.2021
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Acceleratore o incubatore? Questo è il dilemma. Anche perché le definizioni sono diverse. E i confini più labili di quello che si possa credere
Secondo l’ultimo Social innovation monitor del Politecnico di Torino, in Italia si contano più di 200 incubatori e acceleratori. La maggior parte hanno sede nel Nord Italia, in aree a forte trazione industriale
Gli acceleratori accompagnano le startup per un periodo limitato di tempo, generalmente tra i tre e i sei mesi (in alcuni casi si arriva anche a 12); gli incubatori per un periodo più lungo, tra uno e cinque anni
Poniamo di aver fondato una startup, aver già superato la fase della fattibilità tecnica del progetto e, magari, necessitare di un supporto per diventare più attraenti agli occhi degli investitori. A chi rivolgersi? A un incubatore o a un acceleratore? We Wealth, con l'aiuto di Fabrizio Conicella, vicepresidente di InnovUp (associazione che rappresenta l'ecosistema italiano dell'innovazione e che aggrega startup, scaleup, pmi innovative, centri di innovazione, parchi scientifici e tecnologici, incubatori, acceleratori, abilitatori, investitori, studi professionali e corporate, ndr) e direttore generale di Openzone e Zcube, prova a rispondere a queste e ad altre domande. In un faccia a faccia tra due soggetti che, al netto dall'assenza di una definizione univoca, sembrerebbero essere meno alternativi di quello che si possa credere.
Cos'è un acceleratore?
Un acceleratore è una rete sociale di supporto agli imprenditori che si attiva per un periodo determinato di tempo, con un meccanismo di selezione estremamente competitivo e con interventi molto personalizzati. Si rivolge solitamente a startup che hanno già avuto successo nella iniziale raccolta fondi e che, attraverso l'esposizione a un insieme di mentor, coach, docenti, grandi imprese e altre startup, intendono accelerare il proprio processo di crescita. Un meccanismo, spiega Conicella, per rendere dunque “più veloce la loro maturità”. Con una forte attenzione, al momento della selezione, alla traction sul mercato, vale a dire alla capacità di dimostrare “non solo di possedere un potenziale mercato ma anche di aver iniziato a vendere il prodotto o servizio o di essere in grado di comprovare l'appealing di quel prodotto o servizio”.
Cos'è un incubatore?
Gli incubatori invece sono “dei luoghi al cui interno vengono fuse competenze sull'avvio delle startup e spazi in cui esse possano insediarsi”, racconta l'esperto. “Ci sono pochissimi incubatori settoriali, la maggior parte sono generalisti e offrono un tipo di supporto generalistico”, aggiunge. Al centro di reti di relazioni con investitori, università o centri di ricerca, hanno solitamente strutture giuridiche che vedono la compartecipazione proprio del centro di ricerca o dell'università che li ospita. Inoltre, non operano solitamente per “cicli di startup ma come una sorta di sportello sempre aperto”. Una condizione che giustifica un processo di selezione meno stringente, rispetto a quello di un acceleratore.
In cosa si differenziano?
Uno degli elementi che distingue gli acceleratori dagli incubatori è che spesso i primi vantano il coinvolgimento di grandi imprese. “Questo perché si tratta di fantastici strumenti per entrare in contatto con tecnologie e startup di potenziale interesse da acquistare o a cui attingere per complementare le proprie linee di prodotti e servizi”, osserva Conicella. Inoltre, mentre gli acceleratori accompagnano le startup per un periodo limitato di tempo, generalmente tra i tre e i sei mesi (in alcuni casi si arriva anche a 12 mesi), gli incubatori le supportano per un periodo più lungo, tra uno e cinque anni. Nel primo caso, si parla poi solitamente di un modello di business focalizzato sull'investimento nella startup, mentre nel secondo la dimensione fisica (quella della messa a disposizione dei locali) diventa spesso il nucleo del contratto stipulato con la neo azienda.
Ma è anche una questione di ciclo di vita. Ed esigenze cui rispondere. Gli incubatori, spiega Conicella, lavorano sia con startup che “ancora non sono nate, sia con quelle che hanno già fatto un pezzo del percorso. Gli acceleratori, invece, solitamente interagiscono con startup già nate, che abbiano almeno superato la fase della fattibilità tecnica dell'idea e magari debbano essere aiutate nel diventare attraenti per un investitore”. Come anticipato, tra l'altro, gli incubatori tendono a offrire consulenza sulle attività più comuni, dal supporto amministrativo a quello legale fino alle risorse umane. Invece, gli acceleratori godono di caratteristiche specificità settoriali, la rete di mentor e coach è estremamente specializzata e offrono una consulenza “molto approfondita su tematiche specifiche”. Da ultimo, gli incubatori sono quasi sempre “fisici”, hanno un luogo, un indirizzo, al cui interno si insediano le imprese. Gli acceleratori “solitamente non richiedono la presenza fisica continuativa delle startup selezionate”, precisa Conicella. Senza dimenticare che le due realtà sempre più spesso si “toccano e uniscono” in soggetti ibridi, che supportano le startup in entrambe le aree problematiche e che, in un ambiente competitivo sempre più dinamico, si accompagnano a nuove realtà quali gli startup studio e i venture builder.
In definitiva, secondo l'esperto, si tratta di due soggetti complementari che rispondono a esigenze differenti. La prima, quella degli incubatori, è avere un luogo in cui strutturare il soggetto giuridico, creare il team e iniziare a scontrarsi e risolvere “quei problemi tipici della quotidianità delle imprese”. La seconda, per gli acceleratori, è identificare le startup con le maggiori probabilità di crescita, esporle a una rete sociale estremamente specializzata di mentor-coach, partner, investitori e, in alcuni casi, investire direttamente al loro interno.
Secondo l'ultimo Social innovation monitor del Politecnico di Torino, in Italia si contano oggi più di 200 incubatori e acceleratori. In forte crescita negli ultimi anni. Un trend da un lato positivo, conclude Conicella, perché “dimostra la crescente importanza del settore”, dall'altro negativo, perché “aumenta la frammentazione e rende più difficile identificare soggetti trainanti”. La maggior parte ha sede nel Nord Italia (nelle aree ad alta trazione industriale), ma non mancano nelle aree universitarie del Sud Italia, come Catania, Napoli e Bari. Tra gli incubatori, si ricordano I3P del Politecnico di Torino, Almacube dell'Università di Bologna, Bio4Dreams nel campo delle scienze della vita e ComoNExT. Tra gli acceleratori, invece, Open Accelerator del Gruppo Zambon, Sellalab del Gruppo Sella e Nana Bianca.
Alternativi o complementari?
In definitiva, secondo l'esperto, si tratta di due soggetti complementari che rispondono a esigenze differenti. La prima, quella degli incubatori, è avere un luogo in cui strutturare il soggetto giuridico, creare il team e iniziare a scontrarsi e risolvere “quei problemi tipici della quotidianità delle imprese”. La seconda, per gli acceleratori, è identificare le startup con le maggiori probabilità di crescita, esporle a una rete sociale estremamente specializzata di mentor-coach, partner, investitori e, in alcuni casi, investire direttamente al loro interno.
Quanti sono in Italia?
Secondo l'ultimo Social innovation monitor del Politecnico di Torino, in Italia si contano oggi più di 200 incubatori e acceleratori. In forte crescita negli ultimi anni. Un trend da un lato positivo, conclude Conicella, perché “dimostra la crescente importanza del settore”, dall'altro negativo, perché “aumenta la frammentazione e rende più difficile identificare soggetti trainanti”. La maggior parte ha sede nel Nord Italia (nelle aree ad alta trazione industriale), ma non mancano nelle aree universitarie del Sud Italia, come Catania, Napoli e Bari. Tra gli incubatori, si ricordano I3P del Politecnico di Torino, Almacube dell'Università di Bologna, Bio4Dreams nel campo delle scienze della vita e ComoNExT. Tra gli acceleratori, invece, Open Accelerator del Gruppo Zambon, Sellalab del Gruppo Sella e Nana Bianca.