Nuova era dell'export digitale: l'effetto crisi sul 40% delle pmi

Rita Annunziata
5.10.2020
Tempo di lettura: 3'
La pandemia ha spinto oltre il 40% delle pmi a incrementare il ricorso al canale digitale per le vendite all'estero. E nei prossimi tre anni più della metà intende investire nello sviluppo del settore. Ne parliamo con Giovanni Da Pozzo, presidente di Promos Italia. Occhi anche sul Digital services act

Il 53,2% delle pmi dichiara di utilizzare i canali di vendita online principalmente in Europa, il 23% in Asia, il 18% nelle Americhe e il 6,5% in Oceania

Il problema dei costi frena lo sviluppo dell'e-commerce sul canale estero per il 30,2% delle imprese

Stando a un'anticipazione del Financial Times su una prima bozza del Digital Services Act, l'Ue è intenzionata a rendere obbligatorio per le big del tech condividere i dati a loro disposizione con i rivali più piccoli

Negli ultimi mesi lo shock pandemico e la conseguente crisi economica legata alle misure di contenimento dei contagi hanno visto il tessuto imprenditoriale italiano, assetato di liquidità, inaridire. Ma sebbene la “nostra produzione abbia inevitabilmente subito dei contraccolpi, in alcuni settori più forti che in altri”, la resilienza del made in Italy inizia a mostrare i suoi primi effetti, registrando i segnali positivi di una ripartenza. In questo contesto, spiega a We Wealth Giovanni Da Pozzo, presidente di Promos Italia, “il digitale è diventato una leva ancora più importante”, in grado di permettere alle imprese di “interagire con operatori di tutto il mondo, vendere online, posizionarsi e promuoversi a livello internazionale”.
Secondo un'analisi dell'agenzia italiana per l'internazionalizzazione che ha coinvolto 399 piccole e medie imprese, in seguito allo scoppio della pandemia oltre il 40% ha aumentato il ricorso al canale digitale per le vendite all'estero. Di queste, il 7,9% parla di un incremento compreso tra lo 0 e il 5%, il 6,5% dal 5 al 10%, il 7,9% dal 10 al 20%, un ulteriore 7,9% dal 20 al 30%, e il 12,2% di oltre il 30%. Nello specifico, il 53,2% dichiara di utilizzare i canali di vendita online principalmente in Europa, il 23% in Asia, il 18% nelle Americhe e il 6,5% in Oceania. Tra i maggiori ostacoli che frenerebbe lo sviluppo dell'e-commerce sul canale estero, invece, emergono i costi per il 30,2% delle pmi coinvolte e la difficoltà di entrare sul mercato di sbocco e di trovare un partner locale rispettivamente per il 18,7% e il 25,2%.
Inoltre, il 66,9% delle intervistate punta a incrementare lo sviluppo delle vendite digitali nei prossimi tre anni, contro un 5,8% che ritiene di confermare invece la situazione attuale. Per di più, il 30,2% intende investire nello sviluppo del canale digitale meno di 15mila euro, il 16,5% tra i 15mila e i 30mila euro, il 5,8% da 30mila a 50mila euro, l'1,4% da 50mila a 100mila euro e lo 0,7% oltre 100mila euro. “Le imprese, soprattutto quelle più piccole, hanno finalmente capito quanto sia importante affidarsi anche ai canali digitali”, continua Da Pozzo. Secondo il presidente, si tratta dunque di un trend in crescita, ma resta fondamentale “fornire loro tutti gli strumenti e le competenze affinché possano utilizzarli consapevolmente e in maniera efficace”.

Digital services act, contro il monopolio delle big del tech


Ma quale sarà il futuro dei servizi digitali? Stando a un'anticipazione del Financial Times che parla di una prima bozza del Digital Services Act (la normativa europea sui servizi digitali e le piattaforme online, ndr), l'Unione europea è intenzionata a rendere obbligatorio per le big del tech condividere le enormi quantità di dati sulla clientela a loro disposizione con i rivali più piccoli. Di conseguenza, rivela il quotidiano economico-finanziario, aziende come Google o Amazon non potranno utilizzare “i dati raccolti sulla piattaforma per le loro attività commerciali a meno che non li rendano accessibili alle aziende attive nelle stesse attività”. Secondo Da Pozzo, la finalità di questa normativa è tutelare le imprese più piccole ed evitare che si possa arrivare, di fatto, a un monopolio dei grandi player. “Il principio – spiega – è corretto e la proposta di legge anche, ma credo che la strada sia molto lunga”. Qualora venisse approvata, conclude Da pozzo, considerando che il tessuto imprenditoriale italiano è composto per il 98% da pmi, “sarebbe sicuramente utile per le nostre imprese ma, ripeto, è troppo presto per dare giudizi”.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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