Imprese femminili cresciute tre volte di più, ma il covid le blocca

5.8.2020
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Un'impresa su cinque è al femminile: secondo uno studio di Unioncamere, nell'ultimo quinquennio sono cresciute tre volte in più rispetto a quelle maschili. Ma, di fronte al covid, la resilienza e la propensione all'innovazione si sono rivelate insufficienti. Registrate tra aprile e giugno 10mila aziende in meno rispetto al 2019
Dal 2015 le imprese femminili hanno contribuito al 75% dell'incremento complessivo delle imprese italiane
Il 21% dichiara di essere maggiormente esposto all'andamento negativo del ciclo economico
“L'imprenditoria femminile è uno dei settori strategici da promuovere, sia per lo sviluppo del Paese che per il raggiungimento di un pieno empowerment femminile anche nel contesto lavorativo”, commenta Elena Bonetti
Negli ultimi cinque anni le imprese femminili sono cresciute a un ritmo sostenuto: l'aumento in valore assoluto è stato tre volte superiore rispetto a quello delle imprese maschili, con il 2,9% in più contro lo 0,3%. Si parla di oltre 38mila aziende, pari al 75% della crescita complessiva del tessuto imprenditoriale italiano. Ma la resilienza e la propensione all'innovazione durante la pandemia si sono rivelate insufficienti, mostrandole più deboli e sensibili all'andamento economico.
Secondo il IV Rapporto sull'imprenditoria femminile di Unioncamere, le imprese guidate da donne in Italia sono oggi circa un milione e 340mila, il 22% del totale. Sebbene continuino a essere concentrate nei settori più tradizionali, sono sempre di più quelle attive in settori innovativi, come le attività professionali scientifiche e tecniche, cresciute del 17,4% contro il 9,3% di quelle maschili, e quelle dell'informatica e telecomunicazioni, il 9,1% contro l'8,9%. A registrare un incremento superiore alla media sono soprattutto le imprese del Lazio e della Campania, che nell'ultimo quinquennio riportano una crescita rispettivamente del 7,1% e del 5,4%. Seguono la Calabria (+5,3%), il Trentino (+5%), la Sicilia (+4,9%), la Lombardia (+4%) e la Sardegna (+3,8%).
Per Elena Bonetti, ministro per le pari opportunità e la famiglia, l'imprenditoria femminile è uno dei “settori strategici da promuovere, sia per lo sviluppo del Paese che per il raggiungimento di un pieno empowerment femminile anche nel contesto lavorativo”. Di conseguenza, aggiunge, è necessario incentivare la presenza femminile nelle piccole e medie imprese, attraverso tre linee di intervento: l'accesso al credito e alla formazione finanziaria, con un incremento del fondo destinato al credito delle pmi femminili di cinque milioni dall'inizio della crisi epidemiologica; un piano nazionale di formazione al digitale, “con particolare attenzione ai settori e alle categorie di donne imprenditrici, che sono maggiormente escluse da tali percorsi formativi”; e infine la “promozione incentivata” e la “condivisione di strumenti di welfare e di conciliazione tra la vita familiare e quella lavorativa”.
Ma lo shock pandemico ha rappresentato una vera e propria battuta d'arresto per le aspiranti imprenditrici. Secondo lo studio di Unioncamere, tra aprile e giugno, i mesi più caldi della pandemia, sono state registrate 10mila iscrizioni in meno di aziende femminili rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Un crollo in controtendenza rispetto all'andamento degli ultimi anni e superiore anche a quello che ha coinvolto le imprese maschili (si parla del -42,3% contro il -35,2%). Alla fine del mese di giugno, aggiungono i ricercatori, si contano circa 5mila unità in meno rispetto al 2019. Un dato che, secondo il presidente di Unioncamere Carlo Sangalli, dimostra come “il peso più rilevante in quelle fasi difficili” sia ricaduto e continui a ricadere “sulle spalle delle donne”. Il 21% delle imprese femminili, infatti, dichiara di essere maggiormente esposto all'andamento negativo del ciclo economico, contro il 18% delle imprese maschili. Le più colpite sono quelle del centro-nord, dove le nuove imprese sono quasi dimezzate (-47%), in particolare in Lombardia (-1.776) e Lazio (-1.222), mentre il Mezzogiorno ha registrato un calo del 34,1%.
Sebbene siano più attente alle tematiche ambientali, investendo molto più nel green rispetto agli imprenditori (il 31% contro il 26%) ma anche al welfare aziendale, le imprese guidate dalle donne hanno una fragilità intrinseca legata a diversi fattori: una minore propensione all'innovazione, minori investimenti nelle tecnologie digitali dell'industria 4.0, una minore internazionalizzazione e un rapporto più complesso con il mondo del credito bancario (l'8% ha dichiarato di non aver visto accolta la richiesta di credito dalle istituzioni bancarie, o solo in parte, contro il 4% delle imprese maschili). “Dobbiamo rafforzare gli strumenti utili per sostenere le donne a far nascere e crescere le loro imprese”, aggiunge Sangalli. Poi la Bonetti conclude: “Sono convinta che il coraggio delle donne possa fare di queste imprese il primo passo per la ripartenza di tutto il Paese”.
Tra aprile e giugno 10mila nuove imprese in meno
Ma lo shock pandemico ha rappresentato una vera e propria battuta d'arresto per le aspiranti imprenditrici. Secondo lo studio di Unioncamere, tra aprile e giugno, i mesi più caldi della pandemia, sono state registrate 10mila iscrizioni in meno di aziende femminili rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Un crollo in controtendenza rispetto all'andamento degli ultimi anni e superiore anche a quello che ha coinvolto le imprese maschili (si parla del -42,3% contro il -35,2%). Alla fine del mese di giugno, aggiungono i ricercatori, si contano circa 5mila unità in meno rispetto al 2019. Un dato che, secondo il presidente di Unioncamere Carlo Sangalli, dimostra come “il peso più rilevante in quelle fasi difficili” sia ricaduto e continui a ricadere “sulle spalle delle donne”. Il 21% delle imprese femminili, infatti, dichiara di essere maggiormente esposto all'andamento negativo del ciclo economico, contro il 18% delle imprese maschili. Le più colpite sono quelle del centro-nord, dove le nuove imprese sono quasi dimezzate (-47%), in particolare in Lombardia (-1.776) e Lazio (-1.222), mentre il Mezzogiorno ha registrato un calo del 34,1%.
Sebbene siano più attente alle tematiche ambientali, investendo molto più nel green rispetto agli imprenditori (il 31% contro il 26%) ma anche al welfare aziendale, le imprese guidate dalle donne hanno una fragilità intrinseca legata a diversi fattori: una minore propensione all'innovazione, minori investimenti nelle tecnologie digitali dell'industria 4.0, una minore internazionalizzazione e un rapporto più complesso con il mondo del credito bancario (l'8% ha dichiarato di non aver visto accolta la richiesta di credito dalle istituzioni bancarie, o solo in parte, contro il 4% delle imprese maschili). “Dobbiamo rafforzare gli strumenti utili per sostenere le donne a far nascere e crescere le loro imprese”, aggiunge Sangalli. Poi la Bonetti conclude: “Sono convinta che il coraggio delle donne possa fare di queste imprese il primo passo per la ripartenza di tutto il Paese”.
