Donne al timone nella tempesta della crisi

Le posizioni manageriali sono ricoperte oggi da oltre 605mila lavoratori e lavoratrici, di cui 168mila donne (pari al 28%). Una percentuale che si riduce notevolmente se si considerano le posizioni regolamentate da un contratto da dirigente, scivolando al 18%
La minore rappresentatività delle donne in questo contesto si traduce in un numero inferiore di giornate complessivamente retribuite all'anno: le manager percepiscono infatti poco più di 2.000 milioni di euro, pari mediamente a 122mila euro pro-capite
Stefano Cuzzilla, presidente di 4.manager: “L'apporto di una donna migliora l'immagine e la reputazione dell'impresa, la gestione delle risorse umane, il clima aziendale, la produttività e l'efficienza nel raggiungimento degli obiettivi”
Secondo i dati Inps raccolti dall'associazione, le posizioni manageriali sono ricoperte oggi da oltre 605mila lavoratori e lavoratrici, di cui 168mila donne (pari al 28%). Una percentuale che si riduce notevolmente se si considerano le posizioni lavorative regolamentate da un contratto da dirigente, scivolando al 18% (poco più di 22mila). Negli ultimi dieci anni, inoltre, questo dato è cresciuto in media di soli 0,3 punti percentuali per anno e nel nostro paese la figura del “manager” è quella che soffre delle maggiori differenze in termini di retribuzione. La minore rappresentatività delle donne in questo contesto, spiegano i ricercatori, si tradurrebbe infatti “in un numero inferiore di giornate complessivamente retribuite all'anno”: le manager percepiscono poco più di 2.000 milioni di euro, pari mediamente a 122mila euro pro-capite, contro i 153mila euro degli uomini.
Le innovazioni normative sul fronte, tra l'altro, non sembrano aver destato gli effetti sperati. “L'analisi sugli effetti della legge Golfo-Mosca sulla parità di genere nei Consigli di amministrazione delle società quotate e delle controllate pubbliche – si legge nello studio – dimostra che la norma è stata largamente applicata e ha determinato un notevole incremento del numero di donne che siedono ai posti di comando. Tuttavia, le imprese che sono andate oltre le disposizioni di legge sono un'esigua minoranza”. Le donne che ricoprono posizioni apicali all'interno dei Cda, come i presidenti o gli amministratori delegati, o mansioni a elevata responsabilità e remunerazioni, spiegano i ricercatori, “sono quasi del tutto assenti”.
Secondo l'esperto, infatti, l'apporto di una donna “migliora l'immagine e la reputazione dell'impresa, la gestione delle risorse umane, il clima aziendale, la produttività e l'efficienza nel raggiungimento degli obiettivi”. E nell'ottica della ripresa post-covid, “soltanto abbracciando un modello più inclusivo, più sostenibile e più equo da ogni punto di vista, potremmo dipingere un quadro nuovo, di un'Italia che crea benessere e crea ricchezza”. A partire, aggiunge, proprio dagli stanziamenti del Next generation Eu, per “colmare il gender gap e dare una spinta decisiva allo sviluppo del paese”.
Ma quali sono i passi da compiere? Secondo gli esperti bisognerebbe innanzitutto rendere più sostenibile il ritmo di lavoro, con una revisione delle aspettative di produttività e di prestazioni e delle norme sulla flessibilità del lavoro. Inoltre, è necessario abbattere i pregiudizi di genere, disegnare politiche a sostegno della genitorialità e programmi per supportare i dipendenti nei momenti di crisi esterne e di difficoltà individuale o familiare. E infine, conclude Cuzzilla, “rimodulare e rafforzare gli interventi di welfare, sia pubblici sia aziendali, con accordi che riconoscono le differenze, invece che annullarle”.