Le aziende italiane si definiscono più competitive della media europea

Rita Annunziata
16.12.2021
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Oltre il 53% delle imprese italiane di medie e grandi dimensioni si ritengono più competitive rispetto alla media europea del proprio settore di riferimento. Ecco quali sono i punti di forza su cui fanno leva. E quali le aree di miglioramento

Il valore medio di competitività delle aziende italiane risulta pari a 3,64, ottenuto sulla base di un’autovalutazione su una scala da 1 a 5 (in cui 1 corrisponde a “per niente” competitivo e 5 a “molto” competitivo)

Tra i vantaggi competitivi citati dalle stesse società si evidenziano la qualità dei prodotti e dei servizi, il customer service e la professionalità dei lavoratori. Ma anche la capacità di adattare il prodotto o il servizio alle esigenze della clientela

L'export “made in Italy” ha subito un brusco calo lo scorso anno, invertendo un trend positivo di lunga data e toccando i livelli del 2014. Sebbene alcune industrie (specie nel settore manifatturiero) siano state in grado di rafforzare il proprio focus internazionale, la crisi pandemica ha costretto infatti molte aziende a rivedere i propri piani strategici, accorciando le filiere e rafforzando l'e-commerce a discapito della presenza fisica nei mercati di sbocco. Eppure, in un tale contesto, la maggioranza delle imprese di medie e grandi dimensioni si ritiene più competitiva rispetto alla media europea del proprio settore di riferimento.
Secondo la nuova edizione del report “Italy goes global” di Hsbc, si parla del 53,4% delle oltre 800 società intervistate. Nel dettaglio, il valore medio di competitività risulta pari a 3,64, ottenuto sulla base di un'autovalutazione su una scala da 1 a 5 (in cui 1 corrisponde a “per niente” competitivo e 5 a “molto” competitivo). Tra i punti di forza citati dalle stesse società si evidenziano la qualità dei prodotti e dei servizi (4,27), il customer service (4,12) e la professionalità dei lavoratori (3,99). Ma anche la capacità di adattare il prodotto o il servizio alle esigenze della clientela (3,69), l'uso della tecnologia e le innovazioni utilizzate nella produzione (3,68). Altri ambiti nei quali invece si identificano margini di miglioramento sono il product design (2,82), il costo dei prodotti e dei servizi (3,46) e la flessibilità della produzione (3,54). A ritenersi più competitive rispetto alle “cugine” europee sono soprattutto le imprese manifatturiere (60,7% che sale al 68,4% nel settore metalmeccanico), del nord-ovest (57,5%) e con oltre 250 dipendenti (56,5%).

Guardando invece ai punti di forza dell'Italia nel suo complesso, i manager e gli imprenditori intervistati da Hsbc citano soprattutto la qualità della forza lavoro, con un saldo del +55,3% tra chi ritiene il Belpaese il più “forte” da questo punto di vista e chi lo considera il più “debole”. Sotto la lente anche la presenza di fornitori locali (+13,9%), il sistema di istruzione universitario (5,2) e quello tecnico e professionale (2,4). Aree di miglioramento, a livello nazionale, riguardano in questo caso la burocrazia (-92,6), gli incentivi per avviare una nuova attività (-68,9), la qualità delle reti infrastrutturali e immateriali (rispettivamente -52,5 e -46,8) e la mancanza di centri di ricerca (-41,7). Manager e imprenditori apprezzerebbero infine un maggior coinvolgimento anche delle istituzioni europee a sostegno degli sforzi delle aziende in materia di sostenibilità (4,09 in una scala da 1 a 5), di una maggiore integrazione economica tra i paesi (4,00) e di un rafforzamento del ruolo internazionale dell'euro (3,91).

Quanto alle tematiche “green”, la sostenibilità viene considerata a sua volta un fattore competitivo per le aziende, indipendentemente dal suo valore sociale. A dispetto della crisi economica, infatti, il 70% delle intervistate conta di continuare a investirvi nel futuro. Già prima del covid-19, in realtà, il 57,1% riteneva che la propria organizzazione avesse enfatizzato questo aspetto e stesse facendo continui progressi su questo fronte. Specie le imprese manifatturiere (63,7%), quelle del nord ovest (61,4%), quelle con più di 250 dipendenti (64,1%) e con un fatturato superiore ai 200 milioni di euro annui (65%).
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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