Gli “angeli” della finanza puntano sull'impatto sociale

Rita Annunziata
17.2.2021
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I business angel italiani non sono mossi unicamente da ragioni finanziarie, anzi. Il 54% predilige supportare organizzazioni a significativo impatto sociale e l'82% degli stessi sarebbe disposto ad accettare anche ritorni economici inferiori a quelli di mercato

Il settentrione ospita il 70% dei business angel italiani, guidato da Lombardia e Piemonte. Faticano a tenere il passo l'area meridionale e quella insulare

L'86% degli “angeli” delle startup (in rapporto alla popolazione) sono uomini, mentre il 14% sono donne

Il 92% dichiara di valutare l'impact risk, la probabilità di ottenere dai propri investimenti impatti sociali inferiori a quelli attesi

Secondo gli ultimi dati raccolti dal Mef, i soggetti che finanziano startup innovative in Italia sono 4.982. Di questi, 1.014 sono business angel. Ma chi sono gli “angeli” della finanza, quanto investono e in quali settori?

L'identikit del business angel


A rivelarlo è un nuovo studio di Social innovation monitor, team di ricerca con base operativa al Politecnico di Torino, che ha coinvolto un campione rappresentativo di 251 investitori distribuiti per il 70% nel settentrione. Nel dettaglio, la Lombardia ne ospita 368, seguita da Piemonte (168), Lazio (112), Emilia Romagna (59) e Veneto (52). Chiudono il cerchio Sardegna (2), Calabria (1), e Valle d'Aosta (1). Il 4% del campione analizzato rientra poi nella categoria “virgin angel” (coloro che non hanno investito in alcuna impresa), il 75% nella categoria “beginner angel” (che hanno investito su una forbice compresa tra 1 e 10 imprese) e il 21% nella categoria “experienced angel” (con oltre 10 organizzazioni nel proprio portafoglio).
Dal punto di vista del genere, l'86% dei business angel in rapporto alla popolazione sono uomini, mentre il 14% sono donne (una percentuale che scivola al 6% quando si parla degli “experienced”). Il 51%, inoltre, svolge l'attività di manager o dipendente di un'azienda privata, il 25% è un imprenditore, il 19% è un consulente o un libero professionista e il 4% è un manager o dipendente nella pubblica amministrazione. La maggior parte concentra i propri investimenti prevalentemente in Italia (si parla del 60%) e il 49% punta su specifici settori o tecnologie. Di questi, il 44% predilige il settore “digital services & Ict”, seguito da “biotech and healthcare” con il 36% e “fintech & big data tech” con il 21%. I settori meno attrattivi, invece, sono “education” (5%), “energy” (2%) e mobility (1%).

Ma quanto e dove investono?


Stando allo studio, solo nel 2019, ogni business angel ha investito in media oltre 139mila euro, ma il valore della mediana è di 35mila euro, indice della “presenza di un ristretto numero di soggetti che ha investito capitali più elevati”, si legge nello studio. Il 92% degli “angeli”, inoltre, dichiara di valutare l'impact risk, inteso come la probabilità di ottenere dai propri investimenti impatti sociali inferiori a quelli attesi. Una tematica considerata “abbastanza” dal 48% degli intervistati, “poco” dal 34% e “molto” dal 14%. Nel dettaglio, 120 dei 251 investitori considerati (54%) investe in organizzazioni a significativo impatto sociale, mostrando dunque di non essere mossi unicamente da ragioni finanziarie. E tra il 46% di coloro che non esprimono una preferenza, “ben il 67% dichiara che, qualora ci fossero agevolazioni fiscali aggiuntive per gli investimenti in organizzazioni a significativo impatto sociale, incrementerebbero questi ultimi in tal senso”, spiega Davide Viglialoro, vice direttore della ricerca.
“Gli investimenti legati all'impact investing stanno aumentando in misura significativa e, grazie anche alla ricerca svolta per questo report, ci sono sempre più evidenze del fatto che anche i business angel hanno iniziato a supportare organizzazioni a significativo impatto sociale”, aggiunge Paolo Landoni, co-direttore scientifico dello studio. La ricerca evidenzia infine che l'82% dei soggetti attivi nell'ambito dell'impact investing è un “impact first angel”, dichiarando di investire in settori sottocapitalizzati o di accettare ritorni economici inferiori a quelli di mercato a favore di ritorni maggiori in termini di impatto sociale.

Il 17%, infine, afferma che l'attività d'investimento in startup nella propria vita è “predominante” e solo il 29% la considera “marginale”. Il 55% co-investe insieme al proprio business angel group, il 51% con altri business angel e il 33% con società di venture capital. Quanto ai servizi offerti, il 68% sono considerati “active angel”, il 75% dei quali punta su servizi di sviluppo del modello di business, mentre il 32% sono “passive angel” (non offrono servizi aggiuntivi al di là del finanziamento, ndr).
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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