Da startup a unicorno: 5 mosse per fare il grande salto

Quasi tutte le scale-up analizzate concordano su un imperativo strategico: per avere successo, è necessario un equilibrio tra crescita, efficienza e vantaggio competitivo. Ma il 40% delle aziende fatica a trovarlo
Il 61% include l’espansione geografica nella top3 delle priorità strategiche. Oltre la metà si dichiara pentita di questa scelta e il 20% cita un’espansione troppo rapida come un grande errore
In Europa, solo tra il 2010 e il 2017, ben 850 startup hanno raggiunto una valutazione pari a 100 milioni di dollari. Un traguardo che lascia tuttavia poco spazio ai festeggiamenti: le società di venture capital, come analizzato in un nuovo report di McKinsey dal titolo Hard choices: how Europe’s fastest-growing startups become unicorns, si aspettano sempre più che il loro valore raggiunga (o superi) il miliardo di dollari in tempi rapidi ma meno di una su dieci riesce in quest’impresa in meno di quattro anni. La società internazionale di consulenza manageriale ha individuato 5 best practice adottate dalle imprese europee a più rapida crescita per aumentare le proprie valutazioni. E diventare unicorni (anche) espandendo l’offerta e aprendosi ai mercati internazionali.
Trovare un equilibrio tra crescita, efficienza e vantaggio competitivo
Quasi tutte le scale-up analizzate concordano su un imperativo strategico: per avere successo, è necessario un equilibrio tra crescita, efficienza e vantaggio competitivo. Ma il 40% delle aziende fatica a trovarlo. Per comprendere dove indirizzare i propri sforzi, secondo McKinsey, bisogna innanzitutto comprendere quali sono i business driver dell’azienda a seconda della categoria alla quale appartiene:
- le scale-up che puntano sull’effetto rete (come social media, piattaforme di comunicazione o altre attività basate sull’advertising) dovrebbero puntare sulla crescita degli utenti per migliorare la propria value proposition, basti pensare a ex scale-up come Airbnb o LinkedIn;
- le scale-up che puntano sul prodotto dovrebbero concentrarsi sull’espansione dell’offerta per differenziarsi dai competitor, incrementare i costi di transazione dei clienti o sviluppare una proposta di valore unica, come Revolut o Stripe;
- le scale-up che invece puntano sulla scalabilità (come quelle focalizzate sull’e-commerce o sul delivery) dovrebbero puntare su generazione dei ricavi e miglioramento dell’efficienza operativa, dovendo sopperire a costi fissi o marginali elevati, vedi invece il caso di Picnic o Zalando.
In secondo luogo, continuano i ricercatori, bisogna tenere in considerazione il contesto macro. “Quando il capitale è abbondante, come lo è stato per gran parte degli ultimi 10 anni, le scale-up possono puntare maggiormente sulla crescita”, spiegano. “In questo contesto, non essere abbastanza aggressivi può essere un errore fatale. Redditività, efficienza e flusso di cassa sono stati citati come le tre priorità principali da appena il 12% delle scale-up che hanno raggiunto il miliardo di dollari in quattro anni nel periodo tra il 2010 e il 2021. Quando invece il capitale si restringe, come nel 2022, le scale-up potrebbero concentrarsi maggiormente sull'efficienza”.
Privilegiare l’espansione del prodotto all’espansione geografica
Il 61% delle intervistate include l’espansione geografica nella top3 delle priorità strategiche. Ma oltre la metà si dichiara pentita di questa scelta e il 20% cita un’espansione troppo rapida come un grande errore. “Siamo stati spinti a espanderci perché avevamo raccolto tutti quei soldi”, ha dichiarato a McKinsey il dirigente di una scale-up tedesca. “Ma non eravamo pronti e abbiamo finito per abbandonare alcuni di quei mercati qualche anno dopo”. Diversamente, secondo i ricercatori, privilegiare l’espansione in termini di prodotti favorisce la creazione di valore consentendo di raggiungere tre obiettivi strategici:
- guidare la crescita, raggiungendo nuovi segmenti di clientela o aumentando la spesa dei clienti esistenti;
- aumentare l’efficienza, generando ricavi con costi di acquisizione nulli o contenuti;
- ottenere un vantaggio competitivo.
Mercati esteri? Privilegiare l’accessibilità alla dimensione
Quando si guarda oltreconfine, i pretendenti unicorni dovrebbero inoltre puntare su un mercato accessibile, familiare e vicino piuttosto che su un mercato di maggiori dimensioni. Anche perché, come dichiarato da un fondatore di una delle scale-up analizzate, espandersi in mercati sconosciuti “nel 95% dei casi è come avviare una nuova azienda” in quanto “le sinergie sono quasi inesistenti”. In particolare, le scale-up che puntano sulla scalabilità dovrebbero privilegiare ancor più la facilità d’ingresso quando considerano di espandersi all’estero, tenendo conto degli elevati costi locali relativi alla creazione dell’infrastruttura e alla logistica; quelle che invece puntano sul prodotto potrebbero guardare anche a mercati più grandi e distanti perché “costo e complessità del lancio sul nuovo mercato tendono a essere inferiori”, osservano da McKinsey.
Acquisire nuove aziende guardando a prodotti e capitale umano
Acquisire un’altra azienda rappresenta un’ulteriore possibilità per le scale-up di crescere rapidamente e raggiungere una valutazione superiore al miliardo di dollari. Eppure, avvertono dalla società di consulenza, molte startup sbagliano le loro prime acquisizioni. Quelle che puntano ad acquisire nuove aziende per lanciarsi su nuovi mercati, per esempio, hanno una probabilità cinque volte superiore di fallire rispetto a quelle che puntano ad acquisire prodotti, persone o proprietà intellettuale.
Valutare possibili giri di poltrona ai vertici
Un’ultima valutazione che le startup che intendono diventare unicorni potrebbero fare riguarda possibili giri di poltrona ai vertici. Questo perché, spiegano da McKinsey, la fase di scale-up non è uguale alla fase di seed e team dirigenziali che hanno avuto successo nella prima fase non necessariamente potrebbero avere altrettanto successo nella seconda. Anzi. Quasi un leader di scale-up su cinque ammette che il suo più grande errore è stato quello di agire troppo lentamente per sostituire persone che rivestivano ruoli sbagliati. E lo stesso vale anche per i fondatori, secondo la ricerca. In alcuni casi, un chief financial officer o un chief human resources officer potrebbe fungere da contrappeso e gestire eventuali debolezze dei vertici originari. Ricordiamo che l’Italia conta oggi due unicorni: lo scorso settembre, infatti, Satispay si è unita al club delle startup dalla valutazione superiore al miliardo di euro affiancandosi a quello che da febbraio era diventato il primo unicorno della Penisola, Scalapay.