Le compagnie alla ricerca del target giusto

20.7.2018
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La rivisitazione dei business tradizionali sta ridefinendo anche il mondo delle assicurazioni
Nel futuro esisterà ancora qualcosa che si chiamerà settore assicurativo, oppure no?
Un tempo neppure così lontano la questione si risolveva con una tautologia: una banca è una banca, un'assicurazione è un'assicurazione, un'azienda di telecomunicazioni è un'impresa di tlc. Ma oggi è in pieno corso una tendenza alla confusione dei settori. C'è una rivisitazione dei business tradizionali che parte da un assunto: ho una base di clientela e cerco di dargli il massimo dei servizi tra quelli che i miei stessi clienti considerano coerenti e complementari all'idea che si sono fatti della mia azienda, a come la percepiscono”. Massimo Michaud, manager di lungo corso dell'industria italiana delle polizze - ha guidato società del calibro di Axa, Allianz, Aviva e nelle scorse settimane è stato nominato presidente del Cineas, il consorzio universitario per l'ingegneria delle assicurazioni - parla del presente, ma soprattutto del futuro, delle compagnie. E di un viaggio che è appena all'inizio. “L'assicurazione si occupa di protezione e avrà sempre più a che fare con la maggior parte dei casi ancora non abbiamo visto realizzarsi”.
Il viaggio parte dalla base di clientela di una compagnia che, nel mondo di internet e della rivoluzione digitale, rappresentano per Michaud la sua ricchezza, il suo vero valore. “Chi continuerà ad operare soltanto nella copertura dei rischi - spiega - dovrà accontentarsi di ricavi molto più bassi perché in un mondo che diventa sempre più protetto le garanzie più diffuse e tradizionali perderanno valore. I servizi si sposano bene con il mondo assicurativo. Nel momento in cui una compagnia, ad esempio, copre il rischio di disabilità, può immaginare di offrire servizi agli anziani prima che siano disabili, per prevenire e per assisterli quando lo diventano.
Tutti faranno tutto? “Questa è la prima decisione da prendere. Anche i grandi player non potranno presidiare tutti i mercati a valle dell'assicurazione (mobilità, domotica, salute,etc) che richiederanno sempre più specializzazione, e dovranno fare una scelta di campo, definire il proprio modello di business, ovvero il modo di competere e le proprie peculiarità distintive.
Veniamo da un mondo molto omogeneo in termini strategici e andiamo verso un mondo in cui la scelta di come e dove si vuole competere diventa molto importante. E questo è tanto
più rilevante in un contesto in cui le barriere tra i diversi settori diventano più sottili e ti puoi trovare a competere non solo con i tuoi tradizionali avversari ma, ad esempio, con Google,
Volkswagen, Vodafone che offrono i tuoi servizi similari partendo da un diverso business originario”.
La definizione di un business model è in funzione della propria expertise ma anche della propria base di clientela? “Proprio così ed è per questo che la scelta del target è divenuta la
vera novità del mondo assicurativo. Il mercato assicurativo ha finora sempre ragionato per prodotti che venivano creati, a volte con determinati vantaggi fiscali, per dare un evidente
vantaggio a tutti i clienti”. Con il target “ci sarà progressivamente una migrazione verso alcuni segmenti di clientela, quelli che consentono di aver i maggiori margini. Nel settore vita, naturalmente, il target private è importante ma nei danni, forse, il settore retail può rivelarsi più redditizio per le compagnie perché mostra tendenzialmente minore sensibilità al prezzo”.
Alla tendenza verso la “targettizzazione” contribuisce anche la “pressione regolamentare (attraverso la nuova direttiva IDD) che è una pressione estremamente positiva, ti costringe nel futuro esisterà ancora qualcosa che si chiamerà settore assicurativo, oppure no? Un tempo neppure così lontano la questione si risolveva con una tautologia: una banca è una banca, un'assicurazione è un'assicurazione, un'azienda di telecomunicazioni è un'impresa di tlc. Ma oggi è in pieno corso una tendenza alla confusione dei settori.
C'è una rivisitazione dei business tradizionali che parte da un assunto: ho una base di clientela e cerco di dargli il massimo dei servizi tra quelli che i miei stessi clienti considerano coerenti e complementari all'idea che si sono fatti della "a pensare al cliente ed a come riconoscerlo”. È un giudizio positivo a tutto tondo, su tutta la normativa? “Non sempre, perché la stessa regolamentazione, nella sua ultima versione, affida all'Ivass (authority del settore assicurativo) il compito di preparare un modello standard per fare la profilazione del cliente.
In un mercato competitivo la definizione del target dovrebbe spettare alla compagnia, diventando fattore distintivo rispetto agli altri operatori. Se i target sono gli stessi per tutti, le possibilità di differenziazione sono limitate. Le autorità dovrebbero intervenire a posteriori, per stigmatizzare offerte non conformi. Analisi della base di clientela, scelta del modello di business più adeguato e del target proprietario su cui sviluppare un‘ampia offerta di coperture assicurative e servizi.
Cosa manca ancora per completare il puzzle delle compagnie del futuro? “E' la sfida delle partnership, innescata con la rivoluzione digitale in corso con la travolgente esplosione di nuove startup che nascono oggi giorno, ciascuna con il proprio servizio da offrire. Le compagnie debbono trovare un modo efficace di integrare queste nuove energie direttamente nel proprio modello di business, così da arricchire la propria offerta di servizi.
Ma il cammino non è tracciato e vedo approcci che non trovo convincenti. Spesso le imprese assicurative promuovono ‘Partnership Finanziarie' tramite strutture di corporate venture. Questa non è sempre la strada giusta a causa di ambizioni diverse tra i partner: le compagnie puntano alla redditività dell'investimento mentre molte startup non sono interessate
a conseguire profitti immediati, ma vogliono allargare la base dei clienti per aumentare il valore patrimoniale dell'azienda in vista di un Ipo.
Io sono fautore delle ‘Partnership di Clienti': le compagnie aderiscono alla partnership mettendo a disposizione una parte della propria clientela. Accettano di testare l'offerta di nuovi servizi che viene dalle startup, scegliendo ciò che può essere funzionale al proprio modello di business, e misurano sul campo la validità di quei servizi. Dal canto loro, le startup ottengono un accesso privilegiato ad una vasta (per loro) clientela, ma devono dimostrare che i servizi proposti sono attrattivi, accettati dai clienti e che completano la proposta assicurativa. Le Partnership di Clienti, opportunamente gestite, sono il modo di fare partnership che crea convergenza di interessi e di orizzonte temporale tra compagnie stabilite e startup innovative”.
Un tempo neppure così lontano la questione si risolveva con una tautologia: una banca è una banca, un'assicurazione è un'assicurazione, un'azienda di telecomunicazioni è un'impresa di tlc. Ma oggi è in pieno corso una tendenza alla confusione dei settori. C'è una rivisitazione dei business tradizionali che parte da un assunto: ho una base di clientela e cerco di dargli il massimo dei servizi tra quelli che i miei stessi clienti considerano coerenti e complementari all'idea che si sono fatti della mia azienda, a come la percepiscono”. Massimo Michaud, manager di lungo corso dell'industria italiana delle polizze - ha guidato società del calibro di Axa, Allianz, Aviva e nelle scorse settimane è stato nominato presidente del Cineas, il consorzio universitario per l'ingegneria delle assicurazioni - parla del presente, ma soprattutto del futuro, delle compagnie. E di un viaggio che è appena all'inizio. “L'assicurazione si occupa di protezione e avrà sempre più a che fare con la maggior parte dei casi ancora non abbiamo visto realizzarsi”.
Il viaggio parte dalla base di clientela di una compagnia che, nel mondo di internet e della rivoluzione digitale, rappresentano per Michaud la sua ricchezza, il suo vero valore. “Chi continuerà ad operare soltanto nella copertura dei rischi - spiega - dovrà accontentarsi di ricavi molto più bassi perché in un mondo che diventa sempre più protetto le garanzie più diffuse e tradizionali perderanno valore. I servizi si sposano bene con il mondo assicurativo. Nel momento in cui una compagnia, ad esempio, copre il rischio di disabilità, può immaginare di offrire servizi agli anziani prima che siano disabili, per prevenire e per assisterli quando lo diventano.
Tutti faranno tutto? “Questa è la prima decisione da prendere. Anche i grandi player non potranno presidiare tutti i mercati a valle dell'assicurazione (mobilità, domotica, salute,etc) che richiederanno sempre più specializzazione, e dovranno fare una scelta di campo, definire il proprio modello di business, ovvero il modo di competere e le proprie peculiarità distintive.
Veniamo da un mondo molto omogeneo in termini strategici e andiamo verso un mondo in cui la scelta di come e dove si vuole competere diventa molto importante. E questo è tanto
più rilevante in un contesto in cui le barriere tra i diversi settori diventano più sottili e ti puoi trovare a competere non solo con i tuoi tradizionali avversari ma, ad esempio, con Google,
Volkswagen, Vodafone che offrono i tuoi servizi similari partendo da un diverso business originario”.
La definizione di un business model è in funzione della propria expertise ma anche della propria base di clientela? “Proprio così ed è per questo che la scelta del target è divenuta la
vera novità del mondo assicurativo. Il mercato assicurativo ha finora sempre ragionato per prodotti che venivano creati, a volte con determinati vantaggi fiscali, per dare un evidente
vantaggio a tutti i clienti”. Con il target “ci sarà progressivamente una migrazione verso alcuni segmenti di clientela, quelli che consentono di aver i maggiori margini. Nel settore vita, naturalmente, il target private è importante ma nei danni, forse, il settore retail può rivelarsi più redditizio per le compagnie perché mostra tendenzialmente minore sensibilità al prezzo”.
Alla tendenza verso la “targettizzazione” contribuisce anche la “pressione regolamentare (attraverso la nuova direttiva IDD) che è una pressione estremamente positiva, ti costringe nel futuro esisterà ancora qualcosa che si chiamerà settore assicurativo, oppure no? Un tempo neppure così lontano la questione si risolveva con una tautologia: una banca è una banca, un'assicurazione è un'assicurazione, un'azienda di telecomunicazioni è un'impresa di tlc. Ma oggi è in pieno corso una tendenza alla confusione dei settori.
C'è una rivisitazione dei business tradizionali che parte da un assunto: ho una base di clientela e cerco di dargli il massimo dei servizi tra quelli che i miei stessi clienti considerano coerenti e complementari all'idea che si sono fatti della "a pensare al cliente ed a come riconoscerlo”. È un giudizio positivo a tutto tondo, su tutta la normativa? “Non sempre, perché la stessa regolamentazione, nella sua ultima versione, affida all'Ivass (authority del settore assicurativo) il compito di preparare un modello standard per fare la profilazione del cliente.
In un mercato competitivo la definizione del target dovrebbe spettare alla compagnia, diventando fattore distintivo rispetto agli altri operatori. Se i target sono gli stessi per tutti, le possibilità di differenziazione sono limitate. Le autorità dovrebbero intervenire a posteriori, per stigmatizzare offerte non conformi. Analisi della base di clientela, scelta del modello di business più adeguato e del target proprietario su cui sviluppare un‘ampia offerta di coperture assicurative e servizi.
Cosa manca ancora per completare il puzzle delle compagnie del futuro? “E' la sfida delle partnership, innescata con la rivoluzione digitale in corso con la travolgente esplosione di nuove startup che nascono oggi giorno, ciascuna con il proprio servizio da offrire. Le compagnie debbono trovare un modo efficace di integrare queste nuove energie direttamente nel proprio modello di business, così da arricchire la propria offerta di servizi.
Ma il cammino non è tracciato e vedo approcci che non trovo convincenti. Spesso le imprese assicurative promuovono ‘Partnership Finanziarie' tramite strutture di corporate venture. Questa non è sempre la strada giusta a causa di ambizioni diverse tra i partner: le compagnie puntano alla redditività dell'investimento mentre molte startup non sono interessate
a conseguire profitti immediati, ma vogliono allargare la base dei clienti per aumentare il valore patrimoniale dell'azienda in vista di un Ipo.
Io sono fautore delle ‘Partnership di Clienti': le compagnie aderiscono alla partnership mettendo a disposizione una parte della propria clientela. Accettano di testare l'offerta di nuovi servizi che viene dalle startup, scegliendo ciò che può essere funzionale al proprio modello di business, e misurano sul campo la validità di quei servizi. Dal canto loro, le startup ottengono un accesso privilegiato ad una vasta (per loro) clientela, ma devono dimostrare che i servizi proposti sono attrattivi, accettati dai clienti e che completano la proposta assicurativa. Le Partnership di Clienti, opportunamente gestite, sono il modo di fare partnership che crea convergenza di interessi e di orizzonte temporale tra compagnie stabilite e startup innovative”.