La guerra delle spie e i fallimenti dei servizi russi

Alberto Negri
Alberto Negri
14.9.2022
Tempo di lettura: 5'
L’intelligence non è stata in grado di avvertire che l’”operazione speciale” di Putin sarebbe andata malissimo. Oppure, aveva capito tutto, ma ha temuto la reazione dello "zar"

Proviamo a capire qualche cosa della guerra delle spie tra Russia, Ucraina e Occidente. Già poche ore prima della guerra era successo qualcosa di assolutamente incredibile. I russi alla vigilia dell’attacco all’Ucraina avevano diffuso un video in cui il capo dei servizi esterni russi Nariskin balbettava sugli obiettivi dell’operazione militare e veniva duramente redarguito da Putin. Mai si era vista iniziare pubblicamente una guerra in questo modo. In realtà i balbettii di Nariskin erano il segnale che non tutto stava  andando bene a Mosca: c’erano già disaccordi sull’operazione militare e forse gli stessi servizi russi erano entrati nel collimatore per i loro rapporti sull’Ucraina che di lì a poco si sarebbero rivelati un fiasco.


L’attacco russo era basato sul fatto che le forze armate di Mosca sarebbero riuscite a sbaragliare rapidamente gli ucraini sostituendo con un regime fantoccio il governo del presidente Zelenski. I russi sono arrivati vicino a Kiev ma la resa delle forze ucraine non c’è stata. A febbraio, i servizi segreti russi (Fsb) chiesero ai loro informatori nella capitale Kiev di abbandonare i propri appartamenti, di lasciare le chiavi e di cercarsi un posto sicuro lontano dalla città. Le spie russe sapevano che da lì a pochi giorni sarebbe scattata l’operazione militare per decapitare il governo di Volodymyr Zelenski.


Le cose andarono diversamente. I russi avevano probabilmente arruolato e pagato centinaia di agenti ucraini nelle sfere della sicurezza, militari e dell’amministrazione. Ma qualche cosa è andato storto. Nei due mesi precedenti gli stessi ucraini ma soprattutto i servizi americani e inglesi avevano cominciato una controcampagna acquisti convincendo molti degli agenti filorussi, a colpi di soldi, a mollare il campo di Mosca. La prova è nelle stesse purghe successivamente attuate da Zelenski, con centinaia di persone licenziate e incarcerate. Questo è accaduto perché, anche grazie alle tecnologie occidentali, americani e inglesi hanno fornito al governo Zelenski centinaia, forse migliaia, di nomi.


Non c’è bisogno di fare voli pindarici o di essere Le Carré per spiegare la storia, almeno nelle su linee generali. La prova è che il Washington Post è entrato in possesso di molte comunicazioni degli agenti russi, come quelle sugli alloggi da liberare a Kiev, che spiegano la disfatta dell’intelligence di Putin. La fonte di queste comunicazioni sono in parte i servizi segreti ucraini, che ovviamente sono interessati a svelare i dettagli del fallimento russo, ma il giornale americano ha confermato le informazioni ricevute grazie a un lavoro di verifica con fonti occidentali. Ovvero per il lavoro dei servizi occidentali.


L’Fsb russo ha sbagliato tutte le sue previsioni. Eppure le premesse per Mosca erano buone. L’intelligence di Putin aveva a disposizione un numero alto di doppiogiochisti e talpe nell’intelligence ucraina che per ragioni storiche non è altro che una costola del Kgb sovietico e quindi per decenni ha condiviso moltissimo con i russi. Un esempio: nel 2014, dopo la rivolta popolare di Euromaidan per liberare la politica ucraina dall’influenza russa, metà dei dirigenti dei servizi dell’Ucraina (Sbu) scapparono in Russia perché erano fedeli a Mosca. Il ministero dell’Interno ucraino sostiene di avere arrestato 800 sabotatori dall’inizio della guerra.


La Russia aveva creato e pagato per anni una rete immensa di informatori ucraini ma l’intelligence non è stata in grado di avvertire che l’operazione speciale di Putin sarebbe andata malissimo, che il piano per prendere Kiev in tre giorni era inattuabile e gli ucraini non avrebbero accolto l’arrivo dei blindati russi a braccia aperte. Oppure, è una seconda ipotesi, aveva capito tutto ma l’Fsb non è stato capace di trasmettere le informazioni giuste al Cremlino, forse perché temeva la reazione di Putin.


C’è stata una disconnessione tra i servizi d’informazione e il leader che prende le decisioni.

Si parla spesso dei fallimenti dei servizi occidentali, a cominciare dal mancato ritrovamento di armi di distruzione di massa in Iraq nel 2003 per finire con l’avanzata lampo dei talebani in Afghanistan nel 2021, ma il fallimento dell’intelligence russa nella prima fase del conflitto in Ucraina è stato di proporzioni devastanti. Questo spiega anche le comiche indecisioni di Nariskin davanti al suo capo. Questi tentennamenti erano il segnale che ai vertici dei servizi russi non tutti erano d’accordo sull’operazione militare speciale e forse sapevano che ci sarebbero stati problemi. Ed è anche chiaro che molti ai vertici di Mosca non fossero neppure informati sui piani bellici del leader del Cremlino. 


Tra questi lo stesso ministro degli esteri Lavrov e in generale le strutture diplomatiche russe, dentro e fuori il Paese. Quali sono state le conseguenze di questo fallimento? L’attentato in cui è morta Daria, la figlia dell’ideologo Dugin, è una di queste, ma anche gli attentati e i sabotaggi sia in Donbass che dentro al territorio russo. La guerra continua, si allarga e non finirà tanto presto.

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È stato inviato speciale e corrispondente di guerra del Sole 24 Ore negli ultimi 30 anni per le zone Medio Oriente, Africa, Asia Centrale e i Balcani. Nel 2009 ha vinto il premio giornalistico Maria Grazia Cutuli, nel 2015 il premio Colombe per la pace. nel 2016 il premio Guidarello Guidarelli e nel 2017 il premio Capalbio saggistica per il libro "Il Musulmano Errante".
Oggi è Senior Advisor dell’ISPI, Istituto degli Studi di Politica Internazionale.

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