Le nuove regole della corsa agli “alternative”

25.2.2019
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Si moltiplicano le iniziative per allargare a una clientela private prodotti d'investimento nati per investitori istituzionali: il quadro normativo e la necessità di individuare il target giusto
È ufficialmente iniziata la corsa agli investimenti alternativi (o “alternative” per dirla in chiave anglofona). Fideuram investimenti Sgr ha aperto le danze con il fondo chiuso “Fideuram Alternative Investments (Fai) Mercati Privati Globali” che – grazie alla collaborazione e all'esperienza di Partners Group nei private market – ha consentito alle reti di Banca Fideuram e Intesa Sanpaolo Private Banking di collocare con successo questo nuovo prodotto “alternativo”. L'iniziativa di Fideuram (che, con una punta di orgoglio, ci pregiamo di aver supportato per gli aspetti legali e regolamentari) rappresenta una piccola rivoluzione copernicana seppur in una direzione oramai ben nota al mercato: proporre soluzioni di investimento in private equity e private debt (tradizionalmente riservate al mondo istituzionale) ad investitori non professionali (rectius ad una parte, di seguito meglio individuata, della galassia degli investitori non professionali).
Altre iniziative di questo tipo sono già state avviate (Credem) ed altre ancora (complice anche la disciplina Eltif) sono all'orizzonte. C'è parecchio fermento: da un lato le reti sono “armate” e pronte a proporre fondi alternativi a questa (nuova) fascia di clientela, dall'altro lato i fund selector e i consulenti finanziari non fanno mistero dell'intenzione di voler aumentare, coerentemente con le migliori prassi internazionali, l'esposizione dei propri clienti verso asset class alternative con un profilo rischio/rendimento più adatto ad affrontare i preannunciati scenari incerti e volatili. A completamento di tale quadro, si registra una forte spinta concentrica (frutto di un preciso indirizzo politico) per convogliare parte del risparmio degli italiani verso l'economia reale (in particolare, verso Pmi e startup innovative) oltre ad una importante apertura da parte delle stesse Autorità di Vigilanza che, anche in virtù dei nuovi presidi Mifid2, considerano il mercato maturo per allargare la base dei sottoscrittori dei fondi alternativi (fino a poco tempo fa) riservati (a pochi soggetti). Una precisazione è tuttavia doverosa. Ci si riferisce – spesso impropriamente – a fondi alternativi “retail”. In realtà, l'appellativo rischia di essere fuorviante posto che il target market (per dirlo in chiave Mifid2) di questi nuovi prodotti non è il grande pubblico indistinto bensì preidentificati investitori con una ricchezza gestita tale da garantire un'adeguata diversificazione del portafoglio complessivo e un orizzonte temporale di medio-lungo periodo. In altri termini: la clientela tipica del settore private banking. La corsa è dunque a confezionare prodotti che investano in private market (con strategie dalle più diversificate che possono abbracciare il private equity, il private debt, le infrastrutture e il venture capital) ma che siano, allo stesso tempo, rispettosi dei bisogni e delle esigenze di una fascia di clientela meno sofisticata rispetto a quella degli investitori professionali, sebbene con esperienza, conoscenze e competenze per poter valutare correttamente i relativi rischi. Il tutto in un contesto di prassi e regole diverse rispetto a quelle a cui sono soliti far riferimento i gestori con tradizionale esperienza in fondi chiusi alternativi che investono in private market. Di questa esigenza si è fatto interprete, proprio su questo giornale, il commissario della Consob Carmine Di Noia. (We Wealth n.5- 2108). La palla passa quindi ai manufacturer. L'obiettivo, come anticipato, è di creare prodotti su misura. Questo non soltanto per rispondere alle esigenze normative di product governance previste da Mifid2 (a cui si è fatto cenno) ovvero per rispettare i limiti prudenziali agli investimenti imposti per i fondi non riservati dalle disposizioni Banca d'Italia (o dalla disciplina europea in caso di Eltif) bensì anche per ragioni di natura pratica volte a favorire la maggiore semplicità e fruibilità della struttura e del funzionamento fondo ovvero la liquidabilità e trasferibilità delle relative quote. Alcuni esempi: un fondo di private equity “tradizionale” è strutturato come “commitment fund” e, pertanto, gli investitori sono soliti versare gli importi per cui si sono impegnati soltanto al momento in cui il gestore individua gli investimenti target (“capital call”). Diversamente nel caso di fondi dedicati alla clientela private banking spesso si predilige una struttura “fully paid in” ove l'investitore versa subito l'intero ammontare che intende investire senza prevedere capital call. Questo pone ovviamente un tema di gestione della liquidità iniziale (e J-curve) che dovrà essere attentamente valutato dal relativo portfolio manager avendo riguardo ai vincoli di natura regolamentare. Un ulteriore ambito su cui misurare l'efficacia di tali nuovi prodotti è la possibilità di disinvestimento per l'investitore prima della scadenza. I fondi di private market sono tradizionalmente strutturati come fondi chiusi con un orizzonte temporale medio-lungo (solitamente dieci anni) coerente con gli investimenti sottostanti.
Le esigenze di un investitore private potrebbero però condurre a prediligere prodotti c.d. liquid alternative (es. prodotti strutturati come fondi aperti ovvero come fondi chiusi con riapertura di talune finestre) ovvero a favorire la quotazione di tali prodotti. A tal ultimo riguardo giova registrare come molti gestori – anche a seguito dell'iniziativa lanciata da Neuberger Berman con Nb Aurora – stiano guardando al Mercato degli Investment Veichles (Miv) di Borsa Italiana come sede di negoziazione di quote di fondi alternativi. Nel quadro così delineato pensiamo dunque che potranno tagliare per primi il traguardo quei gestori che sapranno meglio comprendere le esigenze e i bisogni della propria clientela e che, allo stesso tempo, sappiano coniugare l'esperienza (propria o di partner terzi) maturata nella selezione e gestione di asset alternativi, fornendo prodotti e soluzioni innovative, anche sotto il profilo legale. In questo senso, ad esempio, il modello master-feeder rappresenta senza dubbio una struttura che unisce armonicamente i punti di forza di due differenti gestori (quello del fondo feeder con maggiore presa sulla rete e quello del gestore del master con una maggiore esperienza nei private market). Infine, per dare un ulteriore volano a questo settore si auspica (e si attende) una semplificazione del quadro regolamentare di riferimento che possa allargare la pletora dei soggetti autorizzati a sottoscrivere fondi riservati riconoscendo, a livello regolamentare, la categoria dell'investitore private banking. Questo consentirebbe di escludere l'applicazione di molte delle restrizioni agli investimenti oggi previste dalle disposizioni di Banca d'Italia oltre che di ridurre significativamente i tempi di costituzione di tali fondi alternativi.
Altre iniziative di questo tipo sono già state avviate (Credem) ed altre ancora (complice anche la disciplina Eltif) sono all'orizzonte. C'è parecchio fermento: da un lato le reti sono “armate” e pronte a proporre fondi alternativi a questa (nuova) fascia di clientela, dall'altro lato i fund selector e i consulenti finanziari non fanno mistero dell'intenzione di voler aumentare, coerentemente con le migliori prassi internazionali, l'esposizione dei propri clienti verso asset class alternative con un profilo rischio/rendimento più adatto ad affrontare i preannunciati scenari incerti e volatili. A completamento di tale quadro, si registra una forte spinta concentrica (frutto di un preciso indirizzo politico) per convogliare parte del risparmio degli italiani verso l'economia reale (in particolare, verso Pmi e startup innovative) oltre ad una importante apertura da parte delle stesse Autorità di Vigilanza che, anche in virtù dei nuovi presidi Mifid2, considerano il mercato maturo per allargare la base dei sottoscrittori dei fondi alternativi (fino a poco tempo fa) riservati (a pochi soggetti). Una precisazione è tuttavia doverosa. Ci si riferisce – spesso impropriamente – a fondi alternativi “retail”. In realtà, l'appellativo rischia di essere fuorviante posto che il target market (per dirlo in chiave Mifid2) di questi nuovi prodotti non è il grande pubblico indistinto bensì preidentificati investitori con una ricchezza gestita tale da garantire un'adeguata diversificazione del portafoglio complessivo e un orizzonte temporale di medio-lungo periodo. In altri termini: la clientela tipica del settore private banking. La corsa è dunque a confezionare prodotti che investano in private market (con strategie dalle più diversificate che possono abbracciare il private equity, il private debt, le infrastrutture e il venture capital) ma che siano, allo stesso tempo, rispettosi dei bisogni e delle esigenze di una fascia di clientela meno sofisticata rispetto a quella degli investitori professionali, sebbene con esperienza, conoscenze e competenze per poter valutare correttamente i relativi rischi. Il tutto in un contesto di prassi e regole diverse rispetto a quelle a cui sono soliti far riferimento i gestori con tradizionale esperienza in fondi chiusi alternativi che investono in private market. Di questa esigenza si è fatto interprete, proprio su questo giornale, il commissario della Consob Carmine Di Noia. (We Wealth n.5- 2108). La palla passa quindi ai manufacturer. L'obiettivo, come anticipato, è di creare prodotti su misura. Questo non soltanto per rispondere alle esigenze normative di product governance previste da Mifid2 (a cui si è fatto cenno) ovvero per rispettare i limiti prudenziali agli investimenti imposti per i fondi non riservati dalle disposizioni Banca d'Italia (o dalla disciplina europea in caso di Eltif) bensì anche per ragioni di natura pratica volte a favorire la maggiore semplicità e fruibilità della struttura e del funzionamento fondo ovvero la liquidabilità e trasferibilità delle relative quote. Alcuni esempi: un fondo di private equity “tradizionale” è strutturato come “commitment fund” e, pertanto, gli investitori sono soliti versare gli importi per cui si sono impegnati soltanto al momento in cui il gestore individua gli investimenti target (“capital call”). Diversamente nel caso di fondi dedicati alla clientela private banking spesso si predilige una struttura “fully paid in” ove l'investitore versa subito l'intero ammontare che intende investire senza prevedere capital call. Questo pone ovviamente un tema di gestione della liquidità iniziale (e J-curve) che dovrà essere attentamente valutato dal relativo portfolio manager avendo riguardo ai vincoli di natura regolamentare. Un ulteriore ambito su cui misurare l'efficacia di tali nuovi prodotti è la possibilità di disinvestimento per l'investitore prima della scadenza. I fondi di private market sono tradizionalmente strutturati come fondi chiusi con un orizzonte temporale medio-lungo (solitamente dieci anni) coerente con gli investimenti sottostanti.
Le esigenze di un investitore private potrebbero però condurre a prediligere prodotti c.d. liquid alternative (es. prodotti strutturati come fondi aperti ovvero come fondi chiusi con riapertura di talune finestre) ovvero a favorire la quotazione di tali prodotti. A tal ultimo riguardo giova registrare come molti gestori – anche a seguito dell'iniziativa lanciata da Neuberger Berman con Nb Aurora – stiano guardando al Mercato degli Investment Veichles (Miv) di Borsa Italiana come sede di negoziazione di quote di fondi alternativi. Nel quadro così delineato pensiamo dunque che potranno tagliare per primi il traguardo quei gestori che sapranno meglio comprendere le esigenze e i bisogni della propria clientela e che, allo stesso tempo, sappiano coniugare l'esperienza (propria o di partner terzi) maturata nella selezione e gestione di asset alternativi, fornendo prodotti e soluzioni innovative, anche sotto il profilo legale. In questo senso, ad esempio, il modello master-feeder rappresenta senza dubbio una struttura che unisce armonicamente i punti di forza di due differenti gestori (quello del fondo feeder con maggiore presa sulla rete e quello del gestore del master con una maggiore esperienza nei private market). Infine, per dare un ulteriore volano a questo settore si auspica (e si attende) una semplificazione del quadro regolamentare di riferimento che possa allargare la pletora dei soggetti autorizzati a sottoscrivere fondi riservati riconoscendo, a livello regolamentare, la categoria dell'investitore private banking. Questo consentirebbe di escludere l'applicazione di molte delle restrizioni agli investimenti oggi previste dalle disposizioni di Banca d'Italia oltre che di ridurre significativamente i tempi di costituzione di tali fondi alternativi.