Nasce Stellantis: il destino del made in Italy è finire all'estero?

Laura Magna
Laura Magna
8.1.2021
Tempo di lettura: 5'
Non è ineluttabile, secondo Davide Chiaroni, professore di strategia aziendale della School of Management del Politecnico di Milano e vicedirettore dell'Energy&Strategy Group. "Vince chi ha capitali e visione: se l'Italia trova le risorse e individua i target può essere predatrice e non solo preda". In generale l'operazione Peugeot-Fca è favorevole a entrambi i protagonisti anche se la scelta del ceo Carlos Tavares fa pendere la bilancia - come al solito - dal lato dei francesi

Il gruppo oggetto del deal sarà la quarta casa automotive del mondo, con un fatturato superiore ai 180 milioni di euro e circa 8 milioni di auto immatricolate (secondo i dati del 2019). La nuova azienda sarà operativa dal 16 gennaio e le prospettive sul suo futuro - sia in termini di quotazioni di Borsa, sia sul fronte industriale - sono rosee.  

Il punto dolente potrebbe essere un taglio della forza lavoro. Ma poiché si attende, per effetto delle sinergie, che il fatturato cresca e con esso i profitti, nel medio periodo ne trarrà vantaggio anche l'occupazione. La dimensione è cruciale per competere in un settore in cui l'elettrico avanza senza sosta.

Nascerà ufficialmente il 16 gennaio il gruppo Stellantis, dalla fusione tra Fca e Peogeot. Mentre Tesla aggiorna record su record in Borsa consacrando Elon Musk come l'uomo più ricco del mondo, il motore endotermico trova la sua rivalsa. Sul titolo che inizierà a trattare in Europa il 18 (e il giorno dopo a New York) gli analisti di Equita anno emesso giudizio buy con target price di 20 euro dai circa 16 del valore attuale. Anche secondo gli analisti di Morningstar, “considerati gli aggiustamenti della fusione, che includono un aumento del debito e della liquidità, un dividendo speciale di Fca e lo spin-off di Faurecia, il fair value di Stellantis è stimato a 18 dollari, il 29% in più rispetto a quanto viene attualmente valutata dal mercato”. Se le prospettive sono rosee per il mercato, tornano sul tavolo i soliti temi della predazione d'Oltralpe delle aziende italiane: il nostro destino è che continueremo a perdere pezzi di eccellenza produttiva che finiranno sotto il controllo di gruppi internazionali per sopravvivere? Non necessariamente, se ci dotiamo di capitali e idee, secondo Davide Chiaroni, professore di strategia aziendale del Politecnico di Milano, con cui abbiamo parlato dell'operazioni Stellantis e del futuro di ciò che resta del made in Italy.

Un nuovo colosso dell'automotive


Stando ai numeri del 2019, Stellantis sarà il quarto gruppo mondiale dell'automotive con circa 8 milioni di veicoli immatricolati e un fatturato superiore ai 183 miliardi di euro.
Dalla condivisione di piattaforme, tecnologie, componenti e fabbriche si genereranno sinergie significative che miglioreranno significativamente la redditività della nuova entità rispetto alle due di partenza.
La difficoltà sarà gestire gli inevitabili esuberi del personale e il peso che avranno i 13 marchi nella nuova gamma di offerta.
“Il tema dell'occupazione è a ben vedere un falso problema, se affrontato ex ante come facciamo noi in Italia”, dice a We Wealth Chiaroni. “L'obiettivo di Stellantis è passare da 8 a 10 milioni di veicoli venduti, potenziale l'elettrico su cui Peuoget era più avanti su Fca e dunque creare più occupazione con il conseguente aumento del fatturato”.

La dimensione è cruciale per competere nell'elettrico


La maggior dimensione sarà fondamentale per fare di Stellantis un competitor credibile nell'elettrico: “le automotive tradizionali hanno dalla loro la capillarità sul mercato e l'expertise nella gestione delle piattaforme: che possono utilizzare per competere nel mondo dell'elettrico. Non sono destinate a declinare ma a cambiare pelle. Stellantisi è più equipaggiata a cambiare pelle rispetto a quanto lo fosse Fca da sola”.

Takeover o fusione?


In ogni caso le polemiche non sono mancate anche nelle fasi preliminari. L'accordo che ha portato alla creazione di Stellantis ha previsto che la transazione avvenisse in parte in quote azionarie di Faurecia (la controllata monstre di Psa nella componentistica, che vanta un fatturato di 17 miliardi, presenza in 102 Paesi e gamma che spazia dagli interni auto, all'elettronica di bordo fino a componenti e sistemi di alimentazione per l'elettrico e il diesel). Agli azionisti Fca sono andati 2,9 miliardi di euro più il 23% del capitale del supplier francese: evenienza che aveva fatto parlare il Financial Times di takeover di Psa su Fca, piuttosto che di fusione.

“Ma non è un takeover ostile – precisa Chiaroni - Non ci sono mai fusioni tra pari, c'è sempre una parte che prevale sull'altra anche se c'è una comunione di intenti. Nel caso in oggetto, le due imprese avevano due problemi da risolvere. In primo luogo la dimensione: erano troppo piccole in un mercato di colossi e, inoltre, erano per certi versi sbilanciate geograficamente, con Fca un po' americana e molto poco asiatica e Peugeot molto forte in Francia e con una solida presenza in Germania e nel Regno Unito attraverso i marchi Opel-Vauxhall. La necessità di un approccio geografico distribuito e di crescere hanno fatto sì che si trovasse l'accordo. Ma è chiaro che la scelta dell'ad di Peugeot Carlos Tavares come nuova guida del gruppo significa qualcosa: che il traino verrà da Peugeot”.

Il destino del made in Italy è diventare francese?


La solita supremazia francese di tutte le fusioni che riguardano gioielli del made in Italy (anche se definire Fca un gioiello del made in Italy è in effetti un po' una forzatura)?

“Se guardiano l'andamento del triennio precedente, Psa ha registrato una maggior crescita in termini di di redditività operativa, quindi la ragione della scelta sta anche nei numeri: in occasione della fusione con Opel-Vauxhall gli obiettivi fissati in termini di profitto sono stati realizzati in anticipo rispetto ai tempi previsti – dice Chiaroni – Senza considerare che Tavares è amato dal mercato, che in lui crede anche al di là dei numeri. Una figura carismatica alla Marchionne: insomma scelta razionale al di là del fatto che sia capitata in casa francese”.

C'è da dire che la storia dell'M&A italo francese è da sempre caratterizzata da una certa supremazia dei cugini d'Oltralpe: è accaduto con EssilorLuxottica – il cui quartier generale è ora a Parigi, nel settore bancario e nella moda, dove le acquisizioni sono avvenute sempre nell'ultimo decennio a senso unico. “Il tema è che – commenta ancora Chiaroni – negli ultimi dieci anni almeno alle imprese italiane anche grandi è mancato il coraggio della scelta europeista. Va bene l'attenzione all'essere italiane, ma i grandi attori europei stanno diventando globali anche grazie a matrimoni e fusioni che hanno ibridizzato il sistema: noi miriamo al campione nazionale che però non basta se rimane puro, perché rimane piccolo. Quello che conta è la capacità di mettere in gioco i capitali”. Dunque, il destino è soccombere? “Non sarei così pessimista nel dire che questo sia il destino incontrovertibile, non è una condizione da cui non si può uscire. Se ne esce affrontandola di petto, che vuol dire con una maggiore proattività nella ricerca di capitali per sostenere eventuali acquisizioni e di target che siano adeguati per concretizzarle. Il recovery fund potrà rappresentare una risorsa per fare questo tipo di ragionamenti”.
Giornalista professionista dal 2002, una laurea in Scienze della Comunicazione con una tesi sull'intelligenza artificiale e un master della Luiss in Giornalismo e Comunicazione di Impresa. Scrivo di macroeconomia, mercato italiano e globale, investimenti e risparmio gestito, storie di aziende. Ho lavorato per Il Mattino di Napoli; RaiNews24 e la Reuters a Roma; poi Borsa&Finanza, il Mondo e Plus24 a Milano. Oggi mi occupo del coordinamento del Magazine We Wealth (e di quello di tre figli tra infanzia e adolescenza). Collaboro anche con MF Milano Finanza.

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