Nagel: nel post-covid i conti delle banche rischiano di esplodere

Rita Annunziata
9.9.2020
Tempo di lettura: 3'
Secondo l'amministratore delegato di Mediobanca, la normativa della Banca centrale europea sul trattamento di sofferenze e utp è “sbagliata”. Ma non solo. Applicata nel post-covid rischia di tramutarsi in “una bomba”. Giacomo Alessi, senior fixed income analyst di Marzotto Sim, ci aiuta a capire di cosa si tratta

“Se applicassimo il calendar provisioning a quello che sta succedendo oggi ne uscirebbe un disastro, non solo per le nostre banche”, spiega Alberto Nagel

A rischio sarebbero soprattutto le realtà più deboli del Sud Europa

Giacomo Alessi: “è una normativa abbastanza severa, ma al contempo protegge risparmiatori e investitori”

Le parole di Alberto Nagel risuonano come un'esplosione. Nel corso di un'audizione alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle banche in merito all'applicazione delle misure per la liquidità, l'amministratore delegato di Mediobanca punta il faro sul calendar provisioning, la normativa della Banca centrale europea che prevede la progressiva svalutazione dei crediti deteriorati. Una norma considerata “sbagliata” perché vale sia per le sofferenze che “per i vecchi incagli”, facendo “di tutta l'erba un fascio”. E che, applicata alla fase post-covid, rischierebbe di provocare un “disastro”.
“Entriamo in questa crisi con regole nuove e molto peggiorative”, spiega l'amministratore delegato. Il calendar provisioning, aggiunge, è stato introdotto per “le sofferenze di nuova generazione dal 2019 in poi, quindi è entrato in vigore praticamente nel 2020”, ma durante la pandemia il sistema bancario è crollato in una sorta di “limbo”. “Se applicassimo questa norma a quello che sta succedendo oggi ne uscirebbe un disastro, non solo per le nostre banche. Ma applicata nel post-covid è una bomba. Una massa di partite diventeranno quantomeno utp (unlikely to pay, ndr). Se poi le devi trattare già come sofferenze, sarà molto difficile che una banca dia altri soldi allo stesso creditore”.

Secondo Nagel, rappresenta dunque una priorità migliorare le procedure esecutive e implementare una giusta revisione della normativa perché “si riverbererà sui conti bancari in modo importante”, specialmente nel caso delle realtà del Sud Europa, ponendo le condizioni “di dover ricapitalizzare in breve tempo”. In definitiva, per il numero uno di Mediobanca le misure adottate per fronteggiare lo shock pandemico hanno avuto effetti positivi, ma ora “servono misure strutturali” perché “siamo entrati in una recessione con effetti durevoli”.

Calendar provisioning: ecco di cosa si tratta


Ma cos'è il calendar provisioning e in che contesto si colloca? Come spiega Giacomo Alessi, senior fixed income analyst di Marzotto Sim intervistato da We Wealth, nell'ultimo quinquennio operazioni di derisking sui bilanci bancari hanno riguardato tutto il panorama europeo, ma soprattutto quello italiano. Secondo i dati di Banca d'Italia, “a marzo 2017 lo stock di non performing exposure sul totale dei prestiti era particolarmente elevato, circa 300 miliardi su un totale di crediti per due trilioni, mentre attualmente viaggia in area 130 miliardi – dichiara Alessi – Negli anni, per evitare quello che è successo dal 2007 in poi in cui i bilanci bancari sono stati appesantiti dai crediti deteriorati, sono state introdotte una serie di guideline e reticoli normativi”. Il calendar provisioning, spiega, è “una norma piuttosto recente, introdotta nel 2018 ma applicata esclusivamente a tutti i nuovi crediti deteriorati scoperti dalla metà del 2019”. Si tratta di un metodo di svalutazione delle esposizioni deteriorate secondo un predefinito schema temporale che tende ad “ammortizzare” l'esposizione in uno spettro temporale tra i tre e i sei anni con una differenziazione tra crediti deteriorati secured  (quelli che hanno un collaterale) e crediti chirografari (che non hanno alcun tipo di garanzia). “Tra i due c'è una differenza sul tipo di svalutazione applicata ogni anno e poi, tra i secured, ci sono tre tipologie di rischio assegnate internamente dalla banca”, precisa Alessi.

Gli effetti sul sistema bancario italiano


“Tutto rientra in una trattativa tra banche e autorità di regolamentazione per ricevere delle deroghe per via della pandemia. Già nel mese di marzo sono state un po' allentate le briglie dei regolamentatori per quanto riguarda tutti i nuovi crediti deteriorati, proprio per non affliggere ulteriormente il sistema bancario in questo periodo”, continua l'esperto. Il punto, spiega, è che gli istituti finanziari potranno godere di questo “periodo di grazia” fino al 2022, ma nel frattempo “continueranno a conteggiare le svalutazioni e tutto quello che emergerà in questo periodo”.

In questo contesto, il calendar provisioning si pone come una “normativa abbastanza severa, ma che al contempo protegge chi ha i depositi o gli investitori che, grazie a essa, conoscono cosa le banche hanno in pancia – continua Alessi – Se l'Italia ha accumulato 300 miliardi di npl (non performing loans, ndr), evidentemente c'era qualcosa che non andava nella valutazione dei rischi e dei crediti. Questo non toglie che tutte queste regolamentazioni siano costose in termini di ricavi, perché gli istituti di credito non possono accettare troppi crediti per non appesantirsi eccessivamente”.

“La decrescita del pil italiano non aiuta, perché in contesti simili aumenta il numero degli npl”, aggiunge Alessi, che conclude: “Se non ci saranno grossi rimbalzi nel 2021, molti crediti diventeranno deteriorati, ma è giusto che vengano scoperti”.

Banca d'Italia: sofferenze bancarie in calo


Intanto, secondo le stime di Banca d'Italia le sofferenze bancarie nette nel mese di luglio hanno subito una contrazione del 15,2% su dodici mesi a 24,601 miliardi, contro il -12,3% del mese di giugno, ma la variazione potrebbe risentire l'effetto delle operazioni di cartolarizzazione. Per Carla Ruocco, presidente della Commissione inchiesta sulle banche, “la mole di moratorie e nuovi finanziamenti, pari complessivamente a circa 400 miliardi, con molta probabilità si trasformerà in nuovi npl stimabili in circa 130 miliardi”. “È necessario – precisa in una nota – creare una bad bank nazionale e porre in essere tutte quelle iniziative di semplificazione normativa, anche a livello di normativa secondaria, finalizzate a rilanciare gli investimenti che richiedono necessariamente capitale paziente, ossia il capitale di rischio”.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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