Leader al femminile: come toccare la vetta (oltre le barriere)

Rita Annunziata
18.3.2021
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Le statistiche continuano a mostrare il conto (salato) dell'ineguaglianza. Specialmente quando si parla di leader al femminile. Uno studio della Munich business school e di Mission female rivela quali sono le barriere dietro questo gap. E quali i fattori di successo da cui ripartire

Negli Usa le donne rappresentano il 48% della forza lavoro all'entry-level, il 28% dei vicepresidenti senior e il 21% della c-suite. La Svezia, invece, è tra i primi 15 paesi al mondo in termini di partecipazione femminile alla forza lavoro. A rilento i Paesi Bassi

I fattori di successo che aiutano le leader a raggiungere la vetta sono soprattutto quelli interpersonali, che considerano le relazioni intrecciate sul luogo di lavoro con colleghi, mentor e supervisori

Il tema delle quote di genere non rimane inosservato, anzi. Sembra emergere un senso di orgoglio nel non accettare che le donne possano accedere a determinate posizioni solo perché obbligatorio per le aziende

Nell'ultimo decennio la diversità di genere ha progressivamente ritagliato il proprio spazio nella lista delle priorità delle imprese globali. Eppure, le statistiche continuano a mostrare il conto (salato) dell'ineguaglianza. Secondo i dati raccolti dalla Munich business school e da Mission female nello studio Beyond borders, international female leaders and their way to the top, oggi solo 13 donne rivestono il ruolo di ceo nelle più grandi società in giro per il mondo e unicamente il 20,6% dei posti nei board è “rosa”. Per non dimenticare poi come le professioniste guadagnino solo il 79% dello stipendio medio mensile della controparte maschile. Ma quali sono le barriere e quali, invece, i fattori di successo che consentono o potrebbero consentire loro di scalare la vetta?

Il campione


Per rispondere al quesito, le ricercatrici (Giulia De Anna, Ellen Schmid e Patricia Kraft) hanno condotto 12 interviste qualitative coinvolgendo senior manager donne con una media di 25 anni di esperienza professionale, tra Stati Uniti, Svezia e Paesi Bassi. Tre paesi caratterizzati da contesti differenti sul fronte della parità di genere. Negli Usa, per esempio, all'inizio del 2020 le donne rappresentavano il 48% della forza lavoro all'entry-level, il 28% dei vicepresidenti senior e il 21% della c-suite (termine che indica le cariche più alte all'interno della società che solitamente iniziano con la lettera “c”, come chief executive officer, chief financial officer, chief operating officer e chief information officer, ndr). La Svezia, invece, occupa la quarta posizione a livello mondiale del Gender gap report del World economic forum ed è tra i primi 15 paesi al mondo in termini di partecipazione alla forza lavoro (con l'81% di donne). I Paesi Bassi, infine, stanno progredendo verso il traguardo dell'uguaglianza più lentamente rispetto alla media europea, con un tasso di occupazione al femminile del 74% ma un gender pay gap ancora rilevante (le donne guadagnano il 21% in meno degli uomini).

I risultati


Analizzando dunque gli elementi di successo che hanno aiutato le leader a raggiungere la vetta, la maggior parte delle intervistate ha sottolineato l'importanza dei fattori interpersonali (menzionati in 41 casi), che considerano le relazioni intrecciate sul luogo di lavoro con colleghi, membri del proprio team, mentor e supervisori, tra gli altri. In altre parole il “capitale sociale”. In particolare, si evidenzia una tendenza leggermente più positiva tra le manager svedesi, che hanno maggiormente sottolineato il valore del fare squadra e del “non mettersi sempre sotto i riflettori”. Rilevante anche la forte rete su cui le donne dichiarano di poter fare affidamento. Si tratta di “mentor che le hanno guidate lungo il loro percorso professionale, alleati che le hanno difese in momenti cruciali o superiori che hanno visto in loro del potenziale”, scrivono le ricercatrici.
I fattori individuali, invece, sono stati menzionati in 26 casi, con una particolare attenzione all'orientamento al successo e alla volontà di assumersi dei rischi. Una minore importanza è stata attribuita infine ai fattori sociali (menzionati 13 volte) e ai fattori organizzativi (9 volte). “È interessante notare, tuttavia, che il non attenersi a dei ruoli tradizionali all'interno della famiglia (dove il lavoro domestico e l'assistenza all'infanzia non dipendevano solo dalle donne) è stato menzionato da due manager svedesi e una manager americana come la ragione principale che ha consentito loro di fare carriera”, si precisa nello studio. Anche il tema delle quote di genere non è rimasto inosservato, anzi. Sembrerebbe emergere, a tal proposito, un senso di orgoglio nel non accettare che le donne possano accedere a determinate posizioni solo perché obbligatorio per le aziende. Anche se c'è chi evidenzia come spesso si tratti del primo e dell'unico passo per stabilire una sorta di equilibrio che consenta di prendere in considerazione diversi punti di vista, dando l'opportunità alle donne manager di raggiungere ruoli dai quali altrimenti resterebbero tagliate fuori.

Quanto alle barriere, la situazione sembrerebbe poi capovolgersi. I fattori organizzativi sono stati citati 53 volte, seguiti dai fattori sociali (44), individuali (12) e interpersonali (5). Uno degli ostacoli più rilevanti è il cosiddetto “soffitto di cristallo”, una metafora utilizzata per indicare una situazione in cui l'avanzamento di carriera viene bloccato da discriminazioni di origine razziale o sessuale. Ma anche gli stereotipi di genere e i pregiudizi inconsci, evidenti in tutti e tre i paesi analizzati. “I risultati delle nostre interviste suggeriscono che, anche se si potrebbe presumere che ci siano differenze tra Paesi Bassi, Svezia e Stati Uniti, in realtà le barriere e i fattori di successo per le donne che avanzano in posizioni di leadership sono molto simili”, spiegano le ricercatrici. “Naturalmente – concludono – dobbiamo considerare il piccolo campione di intervistate, che non consente di generalizzare. Nonostante questa limitazione, i nostri risultati sono incoraggianti, sia per le singole donne che per le aziende, poiché i fattori di successo individuati possono essere affrontati a livello individuale e organizzativo, ma anche semplicemente assunti come modelli di supporto reciproco e incoraggiamento”.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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