Jack Ma: in Cina il capitalismo deve servire la politica

Teresa Scarale
Teresa Scarale
20.4.2021
Tempo di lettura: 5'
Sulla stampa internazionale campeggia la parabola dello 'Jeff Bezos' cinese, passato dai fasti dei seggi Onu e delle ipo miliardarie ad anonime visite in scuole di campagna. Su di lui si è allungata inesorabile l'ombra di Xi Jinping e del regime di Pechino, che non perdona personalità e idee troppo ingombranti. Ne abbiamo parlato con il professor Fabrizio Perretti e Direttore MSc China Mim dell'Università Bocconi

Quella che con i suoi 37 miliardi di dollari si prospettava come la più grande quotazione della storia dell’umanità si è trasformata per il “Mr. Amazon” cinese nell’inizio della sua fine

In Cina, «il capitalismo e il mercato devono essere al servizio della politica e non viceversa. Tutte le minacce che arrivano a lambire un’idea di Stato e di politica che è monolitica, devono essere represse. Da qualunque parte esse arrivino»

Le società di Jack Ma vendono oltre mille miliardi di dollari di prodotti all’anno, il doppio di Amazon, e hanno contribuito a creare quell’immagine di Cina “liberale” e amica del capitalismo cui gli occidentali volevano credere

L’economia deve sottostare alla politica, e per i cinesi questo rapporto non può e non deve essere modificato. Non è l’economia che detta l’agenda della politica, ma il contrario»

Ufficialmente, Jack Ma è uscito dalle grazie del regime a fine ottobre, dopo una sua critica all'obsoleto e inefficiente sistema bancario statale cinese in una convention a Shanghai, presente il gotha del Partito Comunista. Di lì a pochi giorni, il governo avrebbe congelato la ipo di Ant, colosso finanziario parte della sua Alibaba. Un colpo che definire duro è un eufemismo. Quella che con i suoi 37 miliardi di dollari si prospettava «la più grande quotazione della storia dell'umanità», per dirla come gli analisti di Goldman Sachs, si è trasformata per il “Mr. Amazon” cinese nell'inizio della sua fine.
Dal blocco di Xi Jinping alla ipo, il cinquantaseienne Ma è apparso in pubblico una sola volta, e dopo vari mesi, in una scuola elementare della provincia rurale cinese. Un'apparizione controllatissima: solo i membri del suo team potevano effettuare riprese; non c'erano allievi, solo pochi insegnanti. Ma il miliardario era nel mirino del governo centrale da parecchio tempo, complice la sua esuberanza in un sistema che deve avere un vertice solo.

«Una parabola che colpisce molto gli occidentali, ma che in realtà non deve sorprendere nel momento in cui si capisce di avere a che fare con la Cina», commenta il professor Fabrizio Perretti dell'Università Bocconi, raggiunto da We Wealth. Dalle parti del Dragone, «il capitalismo e il mercato devono essere al servizio della politica e non viceversa. Tutte le minacce che arrivano a lambire un'idea di Stato e di politica che è monolitica, devono essere represse. Da qualunque parte esse arrivino».
Nella galassia di Jack Ma, oltre alla società madre Alibaba, rientrano anche Taobao (letteralmente «caccia al tesoro») che offre al pubblico oltre un miliardo di prodotti, dagli iPhone alle lucertoline da appartamento. Tmall, che gestisce i negozi online dei marchi più importanti del pianeta. Alipay, la app dei pagamenti di Ant, utilizzata continuamente dai consumatori cinesi, anche per le transazioni quotidiane più irrisorie. Le società di Ma vendono oltre mille miliardi di dollari di prodotti all'anno, il doppio di Amazon, e hanno contribuito a creare quell'immagine di Cina “liberale” cui gli occidentali volevano credere.

L'occidente si è innamorato di questo imprenditore visionario che ricordava più uno Steve Jobs o un Elon Musk che un tycoon orientale. Il minuto businessman sedeva nelle commissioni Onu, incontrava capi di Stato, re e regine ben più spesso della dirigenza politica cinese. «E' come se in occidente un capo di Stato incontrasse un industriale e non un altro capo di Stato».
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Jack Ma in una delle sue performance per i dipendenti del suo gruppo
Agli occhi di Pechino, «Ma era diventato troppo potente e influente in una realtà che ammette un unico centro di potere». Dobbiamo comprendere la differenza fra la visione occidentale e quella cinese «In quest'ultima, il capitalismo è solo uno strumento della politica. Diceva Deng Xiaoping: 'Nero o bianco, se prende i topi, è un buon gatto'». Possiamo dire che Ma 'se l'è cercata'? «Sicuramente la sua smania di protagonismo ha giocato a suo sfavore. Quindi si, in un certo senso, se l'è cercata. Non sto prendendo le parti del governo cinese: ma si tratta di un elemento dal quale non si può prescindere. La Cina non è l'occidente e bisogna stare all'interno di certi recinti. L'economia deve sottostare alla politica, e per i cinesi questo rapporto non può e non deve essere modificato. Non è l'economia che detta l'agenda della politica, ma il contrario».

In generale, nel Paese di Mezzo due sistemi non possono convivere, nemmeno a livello politico: «leader regionali che stavano diventando troppo potenti sono stati epurati». Così come altri grossi imprenditori, come Wang Jianlin, fondatore della conglomerata immobiliare Wanda, ormai ridotto al silenzio e con un business decisamente minore rispetto al passato. O Wu Xiaohui, della conglomerata assicurativa Anbang, finito in carcere con lo Stato che ne ha espropriato le imprese.
«Non dobbiamo fare l'errore di paragonare Xi Jinping a Vladimir Putin. Il presidente cinese è l'incarnazione della politica del suo partito. La sua non è una visione personale, lui è il mezzo che deve realizzarla: è in corso il progetto collettivo di un sistema politico», spiega il professor Perretti.

Nato nel 1964 in una normale famiglia di Hangzhou. Ci mette tre anni per entrare all'università, KFC lo rifiuta come cameriere, lui perfeziona l'inglese. Fonda una startup di pagine web per le aziende, China Pages, che gli viene sottratta da una controllata statale locale. Lui si rialza. Il resto, è storia.

Quale sarà il futuro di Jack Ma ora che è rientrato nei ranghi? La propaganda governativa continua nella sua opera di damnatio memoriae, cancellandone la presenza e il ricordo (digitale) da ogni evento e programma televisivo. Difficile che si attenti alla sua vita: sarebbe controproducente per l'immagine internazionale dell'ex Celeste Impero, osserva il professore. Nella sua ultima uscita pubblica, nella scuola di campagna, il magnate ha parlato solo delle sue attività filantropiche. Tanto però è bastato per far riguadagnare al colosso Alibaba 47 miliardi di dollari di capitalizzazione di Borsa. Forse il futuro dell'ex enfant prodige sarà questo: quello di un filantropo dal profilo basso, che si gode con modestia i suoi dividendi.
Caporedattore Pleasure Asset. Giornalista professionista, garganica, è laureata in Discipline Economiche e Sociali presso l'Università Bocconi di Milano. Scrive di finanza, economia, mercati dell'arte e del lusso. In We Wealth dalla sua fondazione

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