Consulenza e comunicazione: le “parole” che fanno la differenza

13.12.2021
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Come può la comunicazione generare ormoni buoni o cattivi? Quando siamo vigili e attenti riguardo alle conseguenze delle nostre parole, sviluppiamo quella che viene chiamata “intelligenza conversazionale”, ovvero l'abilità di una persona di entrare in connessione con gli altri, pensare in modo innovativo e agire in modo empatico.
“Ma come parla? Le parole sono importanti”, recitava il pallanuotista interpretato da Nanni Moretti alla giornalista che si rivolgeva a lui con frasi fatte e termini inglesi, nel film “Palombella rossa”.
Le parole sono importanti, perché sono capaci non solo di veicolare un messaggio ed essere portatrici di significato, ma anche perché sono in grado di generare in noi emozioni.
È quanto hanno scoperto i neuroscienziati, analizzando la risposta biochimica del cervello umano durante diverse interazioni comunicative.
La neurochimica delle conversazioni spiega infatti il valore “emotivo” di ogni atto comunicativo.
In particolare, sono state notate due grandi risposte antagoniste.
I commenti positivi e le conversazioni piacevoli stimolano la produzione di ossitocina, l'ormone della felicità, che aumenta la nostra capacità di comunicare, collaborare e fidarci degli altri, attivando reti neurali nella corteccia frontale.
In particolare, i cinque comportamenti più positivi che favoriscono il rilascio dell'ormone della felicità sono:
- mostrare interesse per gli altri come persone, ad esempio chiedendo loro di raccontare di sé e di esprimere le loro emozioni;
- essere trasparenti e veritieri;
- stimolare la discussione e lo scambio;
- costruire un quadro di muto interesse;
- essere aperti a intrattenere anche conversazioni difficili.
Le parole sono importanti, perché sono capaci non solo di veicolare un messaggio ed essere portatrici di significato, ma anche perché sono in grado di generare in noi emozioni.
È quanto hanno scoperto i neuroscienziati, analizzando la risposta biochimica del cervello umano durante diverse interazioni comunicative.
La neurochimica delle conversazioni spiega infatti il valore “emotivo” di ogni atto comunicativo.
In particolare, sono state notate due grandi risposte antagoniste.
I commenti positivi e le conversazioni piacevoli stimolano la produzione di ossitocina, l'ormone della felicità, che aumenta la nostra capacità di comunicare, collaborare e fidarci degli altri, attivando reti neurali nella corteccia frontale.
In particolare, i cinque comportamenti più positivi che favoriscono il rilascio dell'ormone della felicità sono:
- mostrare interesse per gli altri come persone, ad esempio chiedendo loro di raccontare di sé e di esprimere le loro emozioni;
- essere trasparenti e veritieri;
- stimolare la discussione e lo scambio;
- costruire un quadro di muto interesse;
- essere aperti a intrattenere anche conversazioni difficili.
Al contrario, di fronte alle critiche, al rifiuto da parte degli altri o quando si è messi da parte o sminuiti, il nostro cervello produce elevati livelli di cortisolo, l'ormone dello stress, che chiude i centri del pensiero razionale nel cervello, e attiva reazioni di difesa, di protezione o di attacco. E la persona diventa più reattiva e sensibile.
I cinque comportamenti che attivano maggiormente questa risposta sono:
- non avere fiducia nelle intenzioni altrui;
- essere concentrati a convincere l'altro;
- pensare che gli altri non capiscano;
- fare finta di ascoltare;
- non dare ascolto agli elementi emotivi in sé e negli altri.
La beffa è che gli effetti chimici del cortisolo possono durare molto più a lungo della ossitocina. Il cortisolo resta nell'organismo fino a 26 ore, e ciò contribuisce a fissare il ricordo sgradevole di quella comunicazione nella nostra memoria a lungo termine, creando in noi una risposta di “difesa” e “paura” automatiche anche quando ci ripresenteremo a una nuova conversazione con lo stesso interlocutore di allora.
Diventa quindi fondamentale per ogni persona essere consapevole del proprio modo di comunicare.
E questo vale per i leader nei confronti dei propri collaboratori. Per gli insegnanti verso i loro studenti. E per i genitori con i loro figli. Per tutti.
Infatti, chi non è consapevole della neurochimica delle conversazioni, spesso parlerà con discorsi in cui si alterneranno sia fattori che stimolano il cortisolo che fattori che stimolano l'ossitocina.
Il guaio è che nel cervello di chi ascolta tutto questo viene percepito come un alternarsi di stimoli contraddittori, incoerenti e imprevedibili e non fa altro che creare dissonanza e incertezza. Tenuto conto che il cortisolo ha la meglio sull'ossitocina, il rischio è reale.
Il segreto è quindi stare attenti in ogni momento a ciò che si dice. Si può sviluppare questa consapevolezza da soli, ma è molto più efficace se ci si fa aiutare da un osservatore esterno, che sia un collega, un coach o il partner.
Judith Glaser, accademica esperta in comunicazione e autrice del libro “Conversational intelligence: how great leaders build trust and get extraordinary results”, spiega che quando siamo vigili e attenti riguardo alle conseguenze delle nostre parole, sviluppiamo quella che lei chiama “intelligenza conversazionale”, ovvero l'abilità di una persona di entrare in connessione con gli altri, pensare in modo innovativo, agire in modo empatico, operare in modo creativo e strategico con gli altri.
Uno studio condotto dai ricercatori dell'Istituto CreatingWe ha osservato l'effetto delle parole che capi o dirigenti rivolgevano ai loro impiegati. L'indagine ha riscontrato che le espressioni empatiche aumentano la produzione di ossitocina. I membri del personale, inoltre, potenziano le loro capacità cognitive e si rivelano più produttivi.
Mark Waldman e Andrew Newberg, due ricercatori che studiano il comportamento umano, hanno condotto uno studio dettagliato e hanno scritto un libro dal titolo “Le parole possono cambiare il cervello”. I due esperti hanno scoperto che la parola “no” attiva la produzione di cortisolo, l'ormone dello stress. Di conseguenza, ci mettiamo in stato di allerta e le nostre capacità conoscitive si indeboliscono. Al contrario, alla parola “sì” il cervello rilascia dopamina, un ormone cerebrale che regola i meccanismi della gratificazione e del piacere. Si genera una sensazione di benessere e l'atteggiamento verso la comunicazione diventa più positivo.
I ricercatori hanno scoperto anche che le persone capiscono meglio quando separano le idee e non ne collegano più di quattro assieme. Si verifica quindi una maggior garanzia di comprensione se non vengono trattati molti argomenti contemporaneamente.
Waldman e Newberg hanno poi rivelato che alcune parole hanno un impatto molto profondo. Parole come “povertà”, “malattia”, “solitudine” e “morte” influenzano l'amigdala e portano a rimuginare su pensieri negativi. Tuttavia, quando non si può farne a meno nel proprio discorso, è possibile attenuarne l'effetto, l'importante è che non vengano pronunciate all'inizio o alla fine di una frase.
I cinque comportamenti che attivano maggiormente questa risposta sono:
- non avere fiducia nelle intenzioni altrui;
- essere concentrati a convincere l'altro;
- pensare che gli altri non capiscano;
- fare finta di ascoltare;
- non dare ascolto agli elementi emotivi in sé e negli altri.
La beffa è che gli effetti chimici del cortisolo possono durare molto più a lungo della ossitocina. Il cortisolo resta nell'organismo fino a 26 ore, e ciò contribuisce a fissare il ricordo sgradevole di quella comunicazione nella nostra memoria a lungo termine, creando in noi una risposta di “difesa” e “paura” automatiche anche quando ci ripresenteremo a una nuova conversazione con lo stesso interlocutore di allora.
Diventa quindi fondamentale per ogni persona essere consapevole del proprio modo di comunicare.
E questo vale per i leader nei confronti dei propri collaboratori. Per gli insegnanti verso i loro studenti. E per i genitori con i loro figli. Per tutti.
Infatti, chi non è consapevole della neurochimica delle conversazioni, spesso parlerà con discorsi in cui si alterneranno sia fattori che stimolano il cortisolo che fattori che stimolano l'ossitocina.
Il guaio è che nel cervello di chi ascolta tutto questo viene percepito come un alternarsi di stimoli contraddittori, incoerenti e imprevedibili e non fa altro che creare dissonanza e incertezza. Tenuto conto che il cortisolo ha la meglio sull'ossitocina, il rischio è reale.
Il segreto è quindi stare attenti in ogni momento a ciò che si dice. Si può sviluppare questa consapevolezza da soli, ma è molto più efficace se ci si fa aiutare da un osservatore esterno, che sia un collega, un coach o il partner.
Judith Glaser, accademica esperta in comunicazione e autrice del libro “Conversational intelligence: how great leaders build trust and get extraordinary results”, spiega che quando siamo vigili e attenti riguardo alle conseguenze delle nostre parole, sviluppiamo quella che lei chiama “intelligenza conversazionale”, ovvero l'abilità di una persona di entrare in connessione con gli altri, pensare in modo innovativo, agire in modo empatico, operare in modo creativo e strategico con gli altri.
Uno studio condotto dai ricercatori dell'Istituto CreatingWe ha osservato l'effetto delle parole che capi o dirigenti rivolgevano ai loro impiegati. L'indagine ha riscontrato che le espressioni empatiche aumentano la produzione di ossitocina. I membri del personale, inoltre, potenziano le loro capacità cognitive e si rivelano più produttivi.
Mark Waldman e Andrew Newberg, due ricercatori che studiano il comportamento umano, hanno condotto uno studio dettagliato e hanno scritto un libro dal titolo “Le parole possono cambiare il cervello”. I due esperti hanno scoperto che la parola “no” attiva la produzione di cortisolo, l'ormone dello stress. Di conseguenza, ci mettiamo in stato di allerta e le nostre capacità conoscitive si indeboliscono. Al contrario, alla parola “sì” il cervello rilascia dopamina, un ormone cerebrale che regola i meccanismi della gratificazione e del piacere. Si genera una sensazione di benessere e l'atteggiamento verso la comunicazione diventa più positivo.
I ricercatori hanno scoperto anche che le persone capiscono meglio quando separano le idee e non ne collegano più di quattro assieme. Si verifica quindi una maggior garanzia di comprensione se non vengono trattati molti argomenti contemporaneamente.
Waldman e Newberg hanno poi rivelato che alcune parole hanno un impatto molto profondo. Parole come “povertà”, “malattia”, “solitudine” e “morte” influenzano l'amigdala e portano a rimuginare su pensieri negativi. Tuttavia, quando non si può farne a meno nel proprio discorso, è possibile attenuarne l'effetto, l'importante è che non vengano pronunciate all'inizio o alla fine di una frase.
Come può una persona migliorare il valore emozionale delle sue conversazioni?
Primo: iniziare a capire in che modo le interazioni con gli altri attivano la neurochimica e in che modo la neurochimica innesca le emozioni e influenza il modo in cui si prendono decisioni e si interagisce con gli altri.
Secondo: imparare strategie comunicative atte a stimolare il rilascio di ossitocina e la riduzione del cortisolo: il cortisolo e l'ossitocina funzionano in equilibrio quasi come un'altalena, corrispondente allo stress o a uno stato positivo.
Terzo: creare intenzionalmente un ambiente in cui le persone si sentono bene a interloquire tra di loro, perché si fa uso accorto di una comunicazione improntata al rilascio di ossitocina.
Primo: iniziare a capire in che modo le interazioni con gli altri attivano la neurochimica e in che modo la neurochimica innesca le emozioni e influenza il modo in cui si prendono decisioni e si interagisce con gli altri.
Secondo: imparare strategie comunicative atte a stimolare il rilascio di ossitocina e la riduzione del cortisolo: il cortisolo e l'ossitocina funzionano in equilibrio quasi come un'altalena, corrispondente allo stress o a uno stato positivo.
Terzo: creare intenzionalmente un ambiente in cui le persone si sentono bene a interloquire tra di loro, perché si fa uso accorto di una comunicazione improntata al rilascio di ossitocina.
