Atenei italiani contro la crisi: tra i primi 1.000 al mondo

24.2.2021
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Gli atenei italiani resistono all'emergenza e registrano un incremento di oltre il 9% delle immatricolazioni anche nell'anno della crisi. Più del 40% nella top 1.000 globale. Gian Maria Gros-Pietro, Intesa Sanpaolo: “Un sistema formativo internazionale è fondamentale per la competitività di un paese e delle sue imprese”
L'Italia supera tutti per numero di istituzioni universitarie tra le prime 1.000 a livello globale, con oltre il 40% delle istituzioni tricolori
Vola il sud, che riporta 8.000 immatricolazioni in più (+6%) nel 2020. Segue il settentrione con oltre 10.000 unità e una variazione percentuale del 5,5%
Ma la scarsità di risorse economiche impedirebbe non solo di migliorare le modalità di reclutamento dei docenti ma anche il ricambio generazionale
Il sistema accademico italiano resiste alla crisi e si dimostra “resiliente e flessibile”. Anzi. L'emergenza, sotto alcuni punti di vista, ha rappresentato un'opportunità, per lo sviluppo di un futuro tecnologicamente più sofisticato e inclusivo.
A rivelarlo è la seconda edizione della ricerca L'Italia e la sua reputazione: l'università, realizzata da italiadecide in collaborazione con Intesa Sanpaolo. Secondo lo studio, che prende come riferimento i ranking Qs e The (tra i principali per prestigio e risonanza), nel 2020 l'Italia continua a non riportare atenei tra i primi 100, ma rientra tra i primi 500 e ancor di più tra i primi 1.000. Normalizzando i dati, la Penisola supera tutti per numero di istituzioni universitarie tra le prime 1.000, vale a dire nel migliore 5% dell'intero sistema globale. Infatti, nel caso del ranking The, oltre il 40% delle istituzioni tricolori rientra nella top 1.000, scalzando Francia, Cina e Stati Uniti con meno del 10% rispettivamente.
Tra l'altro, spiegano i ricercatori, il nostro sistema accademico si è dimostrato resiliente alla crisi, continuando nell'anno pandemico a erogare lo stesso numero di ore di lezione, tenere gli stessi esami e produrre lo stesso numero di laureati del 2019. Contrariamente alle attese, la ricerca registra un aumento di oltre il 9% delle immatricolazioni per il totale degli studenti nelle università pubbliche e del 7,1% negli atenei privati tra il 15 novembre 2019 e il 15 novembre del 2020. Vola il sud, che riporta un incremento superiore al 6% con 8.000 immatricolazioni in più. Al secondo posto gli atenei del settentrione con oltre 10.000 unità, un “numero maggiore in valori assoluti ma con una variazione percentuale del 5,5%”, precisano i ricercatori, seguiti da quelli del centro con un incremento di 5.000 immatricolazioni (circa il 4%).
Crescono le immatricolazioni nell'anno pandemico
Tra l'altro, spiegano i ricercatori, il nostro sistema accademico si è dimostrato resiliente alla crisi, continuando nell'anno pandemico a erogare lo stesso numero di ore di lezione, tenere gli stessi esami e produrre lo stesso numero di laureati del 2019. Contrariamente alle attese, la ricerca registra un aumento di oltre il 9% delle immatricolazioni per il totale degli studenti nelle università pubbliche e del 7,1% negli atenei privati tra il 15 novembre 2019 e il 15 novembre del 2020. Vola il sud, che riporta un incremento superiore al 6% con 8.000 immatricolazioni in più. Al secondo posto gli atenei del settentrione con oltre 10.000 unità, un “numero maggiore in valori assoluti ma con una variazione percentuale del 5,5%”, precisano i ricercatori, seguiti da quelli del centro con un incremento di 5.000 immatricolazioni (circa il 4%).
“Questa ricerca muove dall'idea che bisogna abbattere il complesso dell'autodenigrazione, del parlar male di noi stessi, che è sbagliato non solo perché spesso l'autodenigrazione è sbagliata, ma anche perché attiva atteggiamenti deresponsabilizzanti: se nulla funziona è evidente che nessuno si impegna”, interviene Luciano Violante, presidente onorario di italiadecide. “Come mai le università italiane non sono tra le prime a livello globale eppure i nostri laureati occupano in tutto il mondo e nelle più diverse discipline posti di altissima responsabilità? Probabilmente perché non solo il sistema nel suo complesso è migliore delle singole università, ma anche perché in molti atenei ci sono specifici settori di eccellenza. Questo peraltro non ci esime dallo sforzo di investire di più, di rinnovare il ceto dei docenti e di puntare inesorabilmente sul merito”.
Eppure, a mancare sembrerebbero essere proprio le risorse destinate, rispetto alla spesa pubblica, che risultano decisamente inferiori rispetto alle controparti del continente europeo. Un contesto che impedirebbe non solo di migliorare le modalità di reclutamento dei docenti ma anche il ricambio generazionale. Oltre a determinare politiche di ricerca “poco meritocratiche” e maggiormente focalizzate sulla “distribuzione a pioggia di finanziamenti pubblici che a stento riescono a garantire l'ordinario svolgersi delle attività”, spiegano i ricercatori. Cosa può essere fatto, dunque, per rafforzare la qualità degli atenei italiani e la loro percezione all'estero? Secondo la ricerca bisognerebbe partire da politiche di reclutamento di docenti e studenti competitive, oltre a una maggiore efficienza della macchina amministrativa per dispiegare risorse per la ricerca e la didattica, l'implementazione della didattica a distanza per un'istruzione più inclusiva, l'internazionalizzazione, e la collaborazione con imprese private per facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Per non dimenticare infine una migliore comunicazione, che metta in risalto i punti di forza del sistema accademico tricolore, trattenga gli studenti italiani e attragga studenti e docenti stranieri.
Ma pesa la scarsità di risorse economiche
Eppure, a mancare sembrerebbero essere proprio le risorse destinate, rispetto alla spesa pubblica, che risultano decisamente inferiori rispetto alle controparti del continente europeo. Un contesto che impedirebbe non solo di migliorare le modalità di reclutamento dei docenti ma anche il ricambio generazionale. Oltre a determinare politiche di ricerca “poco meritocratiche” e maggiormente focalizzate sulla “distribuzione a pioggia di finanziamenti pubblici che a stento riescono a garantire l'ordinario svolgersi delle attività”, spiegano i ricercatori. Cosa può essere fatto, dunque, per rafforzare la qualità degli atenei italiani e la loro percezione all'estero? Secondo la ricerca bisognerebbe partire da politiche di reclutamento di docenti e studenti competitive, oltre a una maggiore efficienza della macchina amministrativa per dispiegare risorse per la ricerca e la didattica, l'implementazione della didattica a distanza per un'istruzione più inclusiva, l'internazionalizzazione, e la collaborazione con imprese private per facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Per non dimenticare infine una migliore comunicazione, che metta in risalto i punti di forza del sistema accademico tricolore, trattenga gli studenti italiani e attragga studenti e docenti stranieri.
“Avere giovani preparati e un sistema formativo più internazionale e vicino al mondo del lavoro è fondamentale per la competitività di un paese e delle sue imprese”, spiega Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo. “Il sostegno a 70 atenei italiani e alcuni stranieri, tra cui Oxford, con progetti di collaborazione puntuali, è dettato dall'attenzione del Gruppo alla produzione e diffusione della conoscenza per un'equa distribuzione della ricchezza”, aggiunge. “La formazione è la chiave per il futuro, soprattutto in un periodo di cambiamenti necessitati dalla crisi pandemica e, per questa ragione, bisogna puntare a un continuo miglioramento del sistema universitario, coltivando anche il confronto con la pubblica amministrazione e con il mondo delle imprese per la creazione delle nuove figure professionali richieste”, conclude Paola Severino, vice presidente della Luiss.