Borse: peggio una pandemia o una guerra?

21.2.2022
Tempo di lettura: 5'
Sono entrambi eventi choc che provocano gravi conseguenze sia nella realtà che sui mercati. Ma l'investitore è irrimediabilmente cambiato, e crede di aver già in tasca la visione (catastrofica) del futuro. Per questo non è più disposto a dare tempo al proprio investimento
Qual è il rischio peggiore in Borsa? Una pandemia o una guerra?
Teniamo fermo il pensiero su questa domanda, che di questi tempi non è per nulla scontata.
Solo due anni fa (dico "solo" perché sembra accaduto ieri) si sarebbe detto senz'altro che la risposta stesse nella prima opzione. E il perché sembrava immediato: perché non se ne vedeva la soluzione. Né nel pensiero né, tantomeno, nei fatti. La cosiddetta fine del tunnel. Una cura? Inutile pensarlo contro un virus assolutamente ignoto e cangiante di ora in ora (siamo a tutt'oggi alla rincorsa di una terapia per le innumerevoli mutazioni che assume da un Paese all'altro). Un vaccino? Nella migliore delle ipotesi ci sarebbero voluti anni, esperienza docet, o almeno docebat sino a quel momento. E quindi? Quindi la conclusione cui si sarebbe arrivati in un attimo - sottolineo in un attimo, istantaneamente - era quella più giusta perché più immediata, quasi fosse una di quelle pubblicità cui siamo abituati ad assistere e che proprio per la loro immediatezza e brevità si imprimono nella nostra memoria, diventando veri e propri diktat all'acquisto. È così, è inevitabile, crollerà tutto, i valori della Borsa hanno i giorni contati. Una profezia avveratasi ancora prima di averla ipotizzata, e perciò divenuta la maniera più efficace per fare le dovute considerazioni per l'investitore che in quel momento è diventato e si è sentito bravissimo, per questa capacità inverosimilmente veloce di capire come sarebbero andate le cose in Borsa. Così infatti sono andate in quei giorni, con alcune differenze tra azioni e obbligazioni, che qui non interessano, dato che le percentuali in cui il crollo si è verificato hanno toccato massimi mai visti in entrambi i casi. Tanto veloci nell'accadere quanto, appunto, nell'essere stati ipotizzati dagli investitori, e anche dai meno esperti.
Ma oggi? Nell'incedere soprattutto degli ultimi giorni è stato come se il destino di Borsa, chiamiamolo così, stesse dando all'investitore, il grande e unico protagonista del portafoglio, l'enorme seppur malcapitata chance di poter, anzi di dover rispondere alla domanda dell'inizio (è più rischiosa una pandemia o una guerra, per la Borsa?) scegliendo in questo caso, ahimè, la busta numero due. Un po' alla Sliding Doors, permettetemi anche qui di cedere alla memoria di un famoso film del 1998 che metteva a tema una storia d'amore tormentata vista in due possibilità alternative che servivano a ipotizzare come sarebbero andate le cose se si fosse fatta la scelta alternativa a quella opzionata in un certo momento, quello fatale.
Tornando a noi. Se scegliessimo la guerra, come risposta alla domanda, come rischio peggiore per la Borsa, senza soffermarci sulle conseguenze molto più gravi per la vita reale? Cosa accadrebbe? Ecco qui l'istantanea, la nuova istantanea scorrere velocissima davanti agli occhi dell'investitore nei prodromi che si stanno avvicendando anche nelle ultimissime ore, e nei conseguenti eventi di Borsa che si sono già visti, soprattutto nella settimana appena conclusa. Un'istantanea che non lascia quasi scampo quanto alla scelta del meglio rispetto al peggio. Perché è come se l'investitore in questi giorni avesse quasi azzerato il caso a oggi “peggiore”, quello cioè visto, accaduto e vissuto in un susseguirsi di crolli di Borsa senza precedenti nel febbraio 2020, al punto da poterlo nuovamente cogliere nella famosa frase spesso udita e mai davvero cancellata, e sempre memorabile per il consulente: «Sì, ma questa volta è diverso». Diverso perché?, chiedo spesso in questi giorni ai miei clienti. E la risposta che mi sento dare è: «Perché non si sa come andrà a finire». Crollerà tutto, finirà tutto. Mi ricorda qualcosa.
Di nuovo riparte il meccanismo della velocissima profezia, che questa volta l'investitore ha davanti agli occhi manifesta nel suo avverarsi, non solo nelle sedute di Borsa degli ultimi giorni, quelle sì collegate all'ipotesi guerra, ma anche nelle precedenti, diabolicamente correlate al fenomeno inflazione e rischio tassi, quasi a determinare un'ulteriore e ancor più forte "competenza" nel creare la visione di come andranno le cose. Quasi fosse una conferma della nuova e più matura capacità dell'investitore di individuare e "filmare" l'andamento della Borsa a una velocità mai vista. Configurando così, anzi definendo l'identità dell'investitore contemporaneo, quello che noi consulenti dobbiamo riconoscere come interlocutore nei nostri appuntamenti. Un'identità tipica proprio del mondo di oggi, caratterizzato dalla velocità, dall'istantaneità, dalla brevità. Quella stessa che si riconosce e si coglie ormai senza sorpresa nell'incapacità, o meglio impossibilità, dell'investitore di attendere il ritorno sull'investimento. A meno che si tratti, anche qui, di un ritorno velocissimo. Ed ecco la domanda che mi sento fare per lo più in questo periodo: «Quanto dovrò aspettare?».
Questa domanda sembra annullare il peso dell'affermazione di prima, anch'essa frequente nelle stanze della consulenza di questi tempi: «Questa volta è diverso». Conferma infatti, quella domanda, come qualcosa sia davvero cambiato nel mondo finanziario, e di conseguenza nella consulenza finanziaria, e come questo non abbia nulla a che fare con le varie ipotesi che si possano avverare nel tempo. Che si tratti del caso pandemia o del caso guerra, il punto non sarà più, o non abbastanza, quanto l'avvenimento in sé sia devastante, ma piuttosto quanto sia inevitabile per l'investitore ragionare in termini di giorni contati e non più di attesa di un tempo per un ritorno sull'investimento. Servirebbero ancora i grafici per comprendere perché rimanere nell'investimento piuttosto che uscire, sopportando picchi di volatilità? Forse potrebbero non servire più a un investitore che ormai sembra aver visto o acquisito la nuova competenza di ipotizzare, alla massima velocità, tutte le opzioni possibili, e che sembra non avere più tempo da perdere in Borsa.
Alla prossima!
Teniamo fermo il pensiero su questa domanda, che di questi tempi non è per nulla scontata.
Solo due anni fa (dico "solo" perché sembra accaduto ieri) si sarebbe detto senz'altro che la risposta stesse nella prima opzione. E il perché sembrava immediato: perché non se ne vedeva la soluzione. Né nel pensiero né, tantomeno, nei fatti. La cosiddetta fine del tunnel. Una cura? Inutile pensarlo contro un virus assolutamente ignoto e cangiante di ora in ora (siamo a tutt'oggi alla rincorsa di una terapia per le innumerevoli mutazioni che assume da un Paese all'altro). Un vaccino? Nella migliore delle ipotesi ci sarebbero voluti anni, esperienza docet, o almeno docebat sino a quel momento. E quindi? Quindi la conclusione cui si sarebbe arrivati in un attimo - sottolineo in un attimo, istantaneamente - era quella più giusta perché più immediata, quasi fosse una di quelle pubblicità cui siamo abituati ad assistere e che proprio per la loro immediatezza e brevità si imprimono nella nostra memoria, diventando veri e propri diktat all'acquisto. È così, è inevitabile, crollerà tutto, i valori della Borsa hanno i giorni contati. Una profezia avveratasi ancora prima di averla ipotizzata, e perciò divenuta la maniera più efficace per fare le dovute considerazioni per l'investitore che in quel momento è diventato e si è sentito bravissimo, per questa capacità inverosimilmente veloce di capire come sarebbero andate le cose in Borsa. Così infatti sono andate in quei giorni, con alcune differenze tra azioni e obbligazioni, che qui non interessano, dato che le percentuali in cui il crollo si è verificato hanno toccato massimi mai visti in entrambi i casi. Tanto veloci nell'accadere quanto, appunto, nell'essere stati ipotizzati dagli investitori, e anche dai meno esperti.
Ma oggi? Nell'incedere soprattutto degli ultimi giorni è stato come se il destino di Borsa, chiamiamolo così, stesse dando all'investitore, il grande e unico protagonista del portafoglio, l'enorme seppur malcapitata chance di poter, anzi di dover rispondere alla domanda dell'inizio (è più rischiosa una pandemia o una guerra, per la Borsa?) scegliendo in questo caso, ahimè, la busta numero due. Un po' alla Sliding Doors, permettetemi anche qui di cedere alla memoria di un famoso film del 1998 che metteva a tema una storia d'amore tormentata vista in due possibilità alternative che servivano a ipotizzare come sarebbero andate le cose se si fosse fatta la scelta alternativa a quella opzionata in un certo momento, quello fatale.
Tornando a noi. Se scegliessimo la guerra, come risposta alla domanda, come rischio peggiore per la Borsa, senza soffermarci sulle conseguenze molto più gravi per la vita reale? Cosa accadrebbe? Ecco qui l'istantanea, la nuova istantanea scorrere velocissima davanti agli occhi dell'investitore nei prodromi che si stanno avvicendando anche nelle ultimissime ore, e nei conseguenti eventi di Borsa che si sono già visti, soprattutto nella settimana appena conclusa. Un'istantanea che non lascia quasi scampo quanto alla scelta del meglio rispetto al peggio. Perché è come se l'investitore in questi giorni avesse quasi azzerato il caso a oggi “peggiore”, quello cioè visto, accaduto e vissuto in un susseguirsi di crolli di Borsa senza precedenti nel febbraio 2020, al punto da poterlo nuovamente cogliere nella famosa frase spesso udita e mai davvero cancellata, e sempre memorabile per il consulente: «Sì, ma questa volta è diverso». Diverso perché?, chiedo spesso in questi giorni ai miei clienti. E la risposta che mi sento dare è: «Perché non si sa come andrà a finire». Crollerà tutto, finirà tutto. Mi ricorda qualcosa.
Di nuovo riparte il meccanismo della velocissima profezia, che questa volta l'investitore ha davanti agli occhi manifesta nel suo avverarsi, non solo nelle sedute di Borsa degli ultimi giorni, quelle sì collegate all'ipotesi guerra, ma anche nelle precedenti, diabolicamente correlate al fenomeno inflazione e rischio tassi, quasi a determinare un'ulteriore e ancor più forte "competenza" nel creare la visione di come andranno le cose. Quasi fosse una conferma della nuova e più matura capacità dell'investitore di individuare e "filmare" l'andamento della Borsa a una velocità mai vista. Configurando così, anzi definendo l'identità dell'investitore contemporaneo, quello che noi consulenti dobbiamo riconoscere come interlocutore nei nostri appuntamenti. Un'identità tipica proprio del mondo di oggi, caratterizzato dalla velocità, dall'istantaneità, dalla brevità. Quella stessa che si riconosce e si coglie ormai senza sorpresa nell'incapacità, o meglio impossibilità, dell'investitore di attendere il ritorno sull'investimento. A meno che si tratti, anche qui, di un ritorno velocissimo. Ed ecco la domanda che mi sento fare per lo più in questo periodo: «Quanto dovrò aspettare?».
Questa domanda sembra annullare il peso dell'affermazione di prima, anch'essa frequente nelle stanze della consulenza di questi tempi: «Questa volta è diverso». Conferma infatti, quella domanda, come qualcosa sia davvero cambiato nel mondo finanziario, e di conseguenza nella consulenza finanziaria, e come questo non abbia nulla a che fare con le varie ipotesi che si possano avverare nel tempo. Che si tratti del caso pandemia o del caso guerra, il punto non sarà più, o non abbastanza, quanto l'avvenimento in sé sia devastante, ma piuttosto quanto sia inevitabile per l'investitore ragionare in termini di giorni contati e non più di attesa di un tempo per un ritorno sull'investimento. Servirebbero ancora i grafici per comprendere perché rimanere nell'investimento piuttosto che uscire, sopportando picchi di volatilità? Forse potrebbero non servire più a un investitore che ormai sembra aver visto o acquisito la nuova competenza di ipotizzare, alla massima velocità, tutte le opzioni possibili, e che sembra non avere più tempo da perdere in Borsa.
Alla prossima!