Rafforzare le supply chain alimentari dopo la crisi ucraina

12.5.2022
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Il cibo è diventato più caro, ma il protezionismo non può essere una risposta a lungo termine alle vulnerabilità evidenziate dalla crisi ucraina, scrive LGIM
Procurarsi prodotti attraverso modalità che, fino a quel momento, erano considerate meno efficienti sul piano economico ha fatto parlare di ritorno al protezionismo o, comunque, di arretramento della globalizzazione. Se si guarda poco al di là continente europeo, l'impatto della guerra in Ucraina rischia di avere conseguenze drammatiche soprattutto nell'approvvigionamento alimentare. A marzo l'Indice Fao dei prezzi dei prodotti alimentari è aumentato del 12,6% rispetto a febbraio, mentre l'Indice Fao dei prezzi dei cereali è aumentato del 24,9%; in entrambi i casi si è trattato del maggior aumento dal 1990. Per quali Paesi tutto questo diventa un grosso problema?
Egitto e Libano importano rispettivamente l'85 e l'81% de proprio grano dalla Russia e dall'Ucraina. Più in generale, vari Paesi del Nord Africa dipendono in larga misura dalle importazioni di alimenti: Algeria compra dall'estero il 75% del suo fabbisogno, il Marocco oltre il 50% per la parte relativa ai cereali e la Tunisia circa il 70% ha affermato l'Ispi.
La globalizzazione arretra, oggi, anche perché molti Paesi che producono alimenti si rifiutano di esportarli per sostenere i bisogni della propria popolazione. “Purtroppo, alcuni politici stanno adottando un approccio protezionistico a breve termine”, ha raccontato Alexander Burr, Esg policy lead di Legal & General IM (LGIM). “Il più grande esportatore di olio di palma al mondo, l'Indonesia, ha recentemente imposto un divieto generalizzato sulle esportazioni nel tentativo di ridurre l'impatto dell'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. L'Argentina sta bloccando le esportazioni di farina e olio di soia; l'Egitto sta vietando le esportazioni di farina, lenticchie e grano; il Marocco sta riducendo le esportazioni di pomodori in Europa. Moldavia, Ungheria e Serbia hanno limitato le vendite di alcune esportazioni di cereali”.
Improvvisamente, ci si rende conto che in una situazione di crisi la specializzazione delle economie, inserite negli scambi globali, si può rivelare una vulnerabilità. Secondo Burr, tuttavia, la risposta di lungo termine alla lezione della crisi ucraina non dovrebbe avere un approccio autarchico – condizione estrema nella quale ogni bisogno nazionale può essere soddisfatto senza importare dall'estero. E' invece il momento “di rendere le catene di fornitura alimentare più resilienti”, ha affermato LGIM, indicando quattro possibili interventi:
1. diversificare la catena di approvvigionamento;
2. aumentare la produzione locale e diversificata;
3. abbandonare l'uso di fertilizzanti e pesticidi sempre più costosi e insostenibili attraverso metodi; di produzione biologica;
4. fornire incentivi per una maggiore produttività.
La comunità internazionale deve, inoltre, collaborare a livello multilaterale per ridurre al minimo l'impatto delle interruzioni della catena di approvvigionamento”, ha concluso Burr, “rafforzando il sistema in modo trasparente, prevedibile e basato su regole”.